Avrebbe compiuto vent’anni il 15 novembre. Preparava una festa forse? Ma Matilde Lorenzi, caporale dell’Esercito italiano, promessa della Nazionale di sci, è morta dopo un terribile incidente in pista, in Val Senales. Nelle foto dell’ultima vittoria non è molto diversa, nei lineamenti, dalla tredicenne che anni fa confessava: «Ho un po’ di paura della velocità». Le era passata crescendo quella paura, evidentemente.
Sugli sci fin da piccola, al Sestriere. «Hai talento», le ripetevano. Tutti scommettevano su di lei: una vincitrice. È stata, sul ghiacciaio Gravand, una frazione di secondo. Matilde di colpo ha sbandato, gli sci si sono divaricati e lei ha sbattuto violentemente il capo sul ghiaccio, prima di volare oltre la pista. Chi l’ha vista, benché sbalordito, pensava forse di vederla rialzarsi. Ma lei, immobile. Quanti minuti ha impiegato l’elicottero ad arrivare sul ghiacciaio? Pochissimi, già in volo la ferita è stata intubata. All’ospedale di Bolzano la attendevano.
Una notte, per cercare di fermare la morte. Poi, i medici hanno dovuto arrendersi. Cos’è stato? Come ha potuto cadere così? I compagni, attoniti, non se lo spiegano. Ma, sotto il rombo delle pale dell’elicottero che lasciava il ghiacciaio, forse qualcuno ha intuito che su quelle splendide cime, tra centinaia di ragazzi felici, del tutto imprevista, era arrivata la morte. Quindici giorni prima dei vent’anni di Matilde.
2004 – 2024, sarà scritto sulla lapide, già il giorno dei Morti. Mai, mai lei, l’altra mattina, pettinando i bei capelli lunghi, avrebbe immaginato di essere, il 2 novembre, fra i morti. Lei felice, giovane regina sulle nevi.
Quando si muore come Matilde, vent’anni mietuti in un colpo di falce, non si può non domandarsi, sgomenti, perché. Doveva sembrare, a vederla volare sulla neve, la giovinezza in persona. E il nostro Dio ama la vita, e non la morte. E allora, perché? Né c’era una guerra, né un nemico, né odio. Apparentemente, il Caso. Il Fato degli antichi. Ma il Fato era cieco, e il nostro Dio ci conosce uno ad uno. Il “perché?” si fa ribellione. Non c’è una risposta. Nessuna rintracciabile logica.
Chi perde un figlio a quell’età può trovarsi di fronte come a un muro. «I miei pensieri non sono i vostri pensieri», dice l’Antico Testamento. Altro da noi è Dio. È Padre, ma un Padre non commensurabile alla nostra intelligenza di uomini. Così, davanti al muro di una morte come questa ci sono padri e madri che non reggono. Chi impazzisce, chi crolla. Qualcuno, estenuato nel vano domandare, a quel muro infine si inginocchia. Non capisce affatto. Forse, per lo strazio, ha bestemmiato. Eppure decide di fidarsi di quel Padre. Di fidarsi ancora. Una fede da giganti. (Io, mi dico smarrita, non la avrei, non la ho). Mistero, anche per noi che stiamo a guardare, morire in questo modo.
Ci ricorda ciò che cerchiamo spesso di dimenticarci: i nostri figli, ci sono solo affidati. Sono suoi, non nostri. Vedere una ventenne strappata nell’ora più bella, e ricordarsi che proprio nulla, di quanto chiamiamo “nostro”, ci appartiene. Almeno questo servisse a suscitare un altro sguardo. Un altro modo di stare in questo mondo. Magari, per ricominciare.
Fonte: Marina Corradi | Avvenire.it