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Turetta e Impagnatiello? L’esatto contrario del patriarcato

In occasione del primo anniversario  della morte di Giulia Cecchettin, studentessa ventiduenne uccisa dall’ex fidanzato in Veneto l’11 novembre del 2023, e dell’inizio del processo che vede imputato Alessandro Impagnatiello, per l’omicidio della fidanzata Giulia Tramontano, in cui è stato ucciso anche bimbo che portava in grembo, i due omicidi – oggi ribattezzati dalla neolingua femminicidi, come se fosse il genere a far la differenza – sono tornati nelle pagine di cronaca.

Repubblica in particolare intervista Anna Castoldi, fondatrice del movimento transfemminista “Bruciamo tutto”. L’oggetto è il diniego del preside del liceo frequentato da Giulia Cecchettin alla proposta di alcuni gruppi studenteschi di voler dedicare alla ex studentessa “un minuto di rumore”, un ovvero un lasso di tempo in cui in tutta la scuola gli studenti avrebbero fatto baccano in ogni modo, una variante chiassosa del più tradizionale “minuto di silenzio” . Il titolo riprende le parole della Castoldi: «Vogliono imbavagliarci ma noi grideremo più forte contro il patriarcato».

Huffington Post sulla stessa linea sfodera un articolo dal titolo: “Un anno senza Giulia e con il patriarcato a piede libero” in cui si legge: «Basta alla scia di sangue dei femminicidi ma soprattutto basta a un intero sistema che ancora oggi fa fatica a riconoscere, denunciare e a trasformare la matrice culturale comune ai tanti femminicidi: il patriarcato. Ovvero quell’incapacità di accettare che una donna possa essere libera di poter decidere della propria vita e di porre fine ad una relazione».

Bisognerebbe innanzitutto accordarsi su quello che si intende per patriarcato, ma proviamo a prendere per buono quello che dice la bibbia contemporanea, Wikipedia, ossia che «il patriarcato è un sistema sociale in cui gli uomini detengono in via primaria il potere e predominano in ruoli di leadership politica, autorità morale, privilegio sociale e controllo della proprietà privata. In ambito familiare, il padre o la figura paterna esercita la propria autorità sulla donna e i figli. Alcune società patriarcali sono anche patrilineari, il che significa che i beni familiari e il titolo vengono ereditati dalla prole maschile».

A ben guardare quello che è uscito ieri dal processo Impagnatiello ci offre materiale per una riflessione che mostra esattamente l’opposto. Nel processo davanti alla Corte d’Assise di Milano la difesa dell’ex barman, nel tentativo di contestare la premeditazione, spiega che Impagnatiello “non voleva uccidere ma solo provocare un aborto”, voleva solo uccidere quel bambino (come se questo potesse costituire un’attenuante).

Il movente, come è poi emerso nel corso  del processo stesso, è stato infatti individuato proprio in quella gravidanza, in quel bambino che lo avrebbe inchiodato ad un per sempre, alla paternità, che lo avrebbe legato a vita ad una donna, che lo avrebbe costretto, in qualche modo, a prendersi delle responsabilità di una vita, anzi di due. Ed è quindi esattamente il contrario del patriarcato. Impagnatiello viveva con Giulia Tramontano ma la tradiva, e voleva essere libero, non certo costruire una famiglia, meno che meno porsi come autorità morale nei confronti della prole, dato che la prole non la voleva.

E Turetta? Diventato (nell’epoca del garantismo) l’uomo simbolo di tutti i mali, manifesto vivente di questo nuovo mostro chiamato patriarcato, in realtà incarna esattamente l’opposto. Dopo che Giulia Cecchettin lo aveva lasciato, raccontano le cronache, per lenire il dolore andava a dormire con i peluches, piangeva, si struggeva per avere il messaggio della buonanotte e quando ha capito che non ci sarebbe stato speranza per lui di tornare con la ex fidanzata ha fatto come fanno i bambini col pallone «se tu non vuoi giocare con me, allora lo porto via».

Non solo non hanno i tratti del “patriarca”, ma nemmeno del padre e, in fondo, nemmeno dell’adulto. Il loro è un atteggiamento infantile, come quello di un bambino viziato che quando non ottiene quel che vuole, pieno di rabbia, pronto a distruggere tutto, è il tratto dell’adolescente scorbutico che pensa che tutto gli sia dovuto, che deve esprimere i propri sentimenti e dare libero sfogo alle proprie emozioni, che volere è potere.

Per la narrazione dominante la “soluzione” è quella di devirilizzare l’uomo, depurandolo della sua “mascolinità tossica”, in realtà è vero il contrario, stiamo crescendo una generazione di Peter Pan non vengono educati a diventare uomini (e lo stesso ovviamente vale per le donne, in questo la parità è perfetta), a stare dentro la realtà dominando le passioni con la ragione, a trovare la loro vocazione, a sacrificarsi, a giocarsi la vita, a generare vita. Fino a che non lo capiremo, fino a che declineremo gli omicidi in base al genere, saremo destinati a vivere in un clima di eterno conflitto sterile tra i sessi. Dal quale nessuno uscirà vincitore.

Fonte: Raffaella Frullone | IlTimone.org

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