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Clint Eastwood interroga la coscienza: Giurato numero 2

 

Presentata al Tertio Millennio Film Festival “Giurato numero 2”, l’ultima pellicola del regista 94enne che affonda ancora nel cuore della questione umana

La zona grigia che sta tra bene e male, il senso di colpa e la responsabilità personale, il rapporto tra verità e giustizia. Sono tanti i temi che si intrecciano e che pongono domande dirette alle nostre coscienze nel nuovo e, forse, ultimo film del 94enne Clint Eastwood, Giurato numero 2 che ha aperto lunedì sera, in anteprima italiana, la 28ª edizione del Tertio Millennio Film Festival al Cinema delle Provincie di Roma. L’inaugurazione perfetta per questo festival, voluto da Giovanni Paolo II nel 1997, in quanto aderente al tema “Uomo, dove sei?” che fa da filo conduttore alla kermesse che si concluderà il 16 novembre con la proclamazione del vincitore fra gli 8 film in concorso.

Il Festival, organizzato da Fondazione Ente dello Spettacolo, con la direzione artistica di Gianluca Arnone e Marina Sanna, con il patrocinio della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, del Pontificio Consiglio della Cultura, dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali Cei, della Direzione Generale Cinema Mibact, è da sempre attento a indagare i temi legati alla spiritualità. Ed anche al dialogo interculturale come ha dimostrato il convegno interreligioso che ha aperto il Festival lunedì pomeriggio presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.

«Dove sei?» è la prima domanda che Dio pone a una persona nella Bibbia nel passaggio di Genesi 3,9 quando Adamo si nasconde dopo avere commesso il peccato originale. Dove sta l’uomo, con le sue scelte? E’ proprio la domanda che pone Clint Eastwood in Giurato numero 2, in uscita nelle sale italiane il 14 novembre per Warner Bros. «Siamo contenti di avere questa anteprima italiana e di essere stati scelti noi come festival per ospitarla – ci spiega monsignor Davide Milani, Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo – . Sappiamo di accogliere un film testamento, probabilmente il compimento del percorso di questo regista. Lui si interroga in questo film sull’esperienza della verità, sull’esperienza dell’uomo davanti alla verità, la verità che ti interpella, la verità di te stesso. Il film ci fa vedere tutto il percorso della verità da una questione legale a una questione personale. Il percorso del film a proposito del tema della verità è paradigmatico rispetto alla questione che poniamo nel nostro festival. Davanti ai grandi temi come la salvaguardia del Creato, le guerre, l’aiuto verso gli altri, noi come ci poniamo? Non basta proclamarsi innocenti: bisogna agire bene».

Giurato numero 2, destinato dapprima alla sola piattaforma televisiva Hbo, data la sua alta qualità ha avuto invece anche una piccola distribuzione nelle sale americane. Il protagonista è interpretato da uno straordinario Nicholas Hoult (è cresciuto bene il bambino protagonista di About a boy), nei panni di Justin Kemp, giovane uomo con un passato da alcolista e un futuro da papà, la moglie aspetta la loro bambina anche se la gravidanza è difficile. Il giovane è convocato come giurato in un presunto caso di omicidio alle porte di Savannah, in Georgia. La vittima è una giovane ritrovata morta in un fosso dopo una violenta discussione col suo ragazzo, membro pentito di una gang. Il colpevole ideale per i dodici giurati e per il sostituto procuratore della contea in piena campagna elettorale. Faith Killebrew (una sempre più ficcante Toni Collette) si accanisce sull’imputato e cerca una veloce vittoria, mentre gli stessi giurati hanno solo voglia di tornarsene a casa in fretta. Ma Justin, giurato numero 2, si rende conto con sgomento della propria colpevolezza quando ricorda, in vari flashback, come un anno prima, nel cuore della notte sotto una pioggia torrenziale, sulla stessa strada credeva di aver investito un cervo. L’uomo onesto si scopre omicida involontario e lotta per tutto il film con un dilemma morale: confessare, scagionando l’imputato, o sottrarsi alla giustizia, condannando un innocente?

E noi, come ci comporteremmo se fossimo nei suoi panni? E’ la domanda precisa che vuole stimolare negli spettatori Clint Eastwood, che anche in questo suo quarantottesimo film affonda nel cuore della questione umana. Questioni che Giurato numero 2 illustra tutte, in un dramma giudiziario classico nei toni (non ha la lacerante ferocia di un Mystic River, per farci capire, ma piuttosto segue Hitchcock), ma incalzante soprattutto dal punto di vista morale, con una ambivalenza ondivaga che rivela il tocco profondo di Eastwood. Benissimo scritto da Jonathan Abrams e ottimamente recitato, il film cita il Sidney Lumet de La parola ai giurati quando entra nella stanza della giuria, formata da gente normalissima con convinzioni precostituite, mentre Justin (che tenta di salvare capra e cavoli, ovvero la propria famiglia nascente, ma anche il presunto assassino e quindi la propria coscienza) man mano scardina le loro convinzioni colpevoliste. Solo che in Lumet Henry Fonda era l’eroe americano senza macchia, mentre qui il marito perfetto è anche l’inquieto colpevole, per quanto involontario, di una tragedia più grande di lui.

Fortissima la figura della sostituta procuratrice in carriera, pronta a passare ottusamente sopra la verità per ottenere una vittoria che le garantirebbe l’elezione a procuratore, che ha un moto di coscienza proprio mentre osserva sopra la testa del giudice il motto degli States “In God we trust”, noi crediamo in Dio. Si può sacrificare un uomo considerato “reietto” dalla società per salvare un uomo “perbene” o per fare carriera? Ma noi siamo poi così perbene e degni di salvezza? Quanto è importante la vera redenzione? Nessuno è totalmente buono o totalmente cattivo in questo film. E, sotto la statua incombente della dea della Giustizia bendata, la questione troverà sorprendenti risposte. Alla Clint.

Fonte: Angela Calvini | Avvenire.it

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