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MATERNITÀ SURROGATA/ Chi cerca lo scontro giudiziario non difende “diritti” ma fa soffrire madri e figli

Legge in vigore: la maternità surrogata è reato universale. L’opposizione insorge secondo un’impostazione ideologica che in realtà dimentica i diritti

Oggi, lunedì 18 novembre, sarà pubblicata sulla Gazzetta ufficiale ed entrerà in vigore la legge che istituisce il “reato universale” per la pratica dell’utero in affitto, punibile anche per chi ne fa ricorso all’estero. Il Presidente della Repubblica aveva già firmato la legge il 4 novembre, prima della sua partenza per la Cina, mettendo fine ad una serie di equivoci. La legge si compone di un unico articolo che prevede che “se i fatti sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”. Per questo si parla impropriamente di reato universale, dal momento che ci si limita a punire un cittadino italiano che all’estero ricorre alla maternità surrogata vietata dalla legge 40/2004 nel nostro Paese, ossia da almeno 20 anni.

Nessuno si illude che, approvata la legge, cessino una serie di pratiche strumentali, considerate lesive della dignità umana, sia per quanto riguarda le donne che si prestano a fare da madri surrogate che per gli stessi bambini. Il desiderio di genitorialità di alcune coppie, omosessuali o eterosessuali, pur comprensibile sotto alcuni aspetti, non giustifica lo sfruttamento sistematico di donne che per lo più vivono in condizioni di precarietà socioeconomica. Una condizione emersa in modo chiarissimo nel recente caso scoppiato in Argentina, dove la donna ha ammesso che la bimba era nata da maternità surrogata e, dopo un primo tentativo di farla passare come altruistica, ha confessato che la gravidanza era stata portata avanti per soldi.

Le erano stati promessi 10 milioni di pesos, l’equivalente di circa 9.300 euro, al sesto mese di gravidanza gliene sono stati versati 6 milioni, poco più di 5.500 euro. “Avevo bisogno di soldi”, ha confermato la donna. Il sospetto degli inquirenti argentini, che attualmente lavorano su un centinaio di casi simili, è che dietro questa vicenda ci sia un’organizzazione che sfrutta le donne in situazione di estrema vulnerabilità, facendo leva, con un’altra forma di sfruttamento, sul desiderio di genitorialità di committenti disposti a pagare pur di avere un figlio. È a queste organizzazioni che mira la giustizia del Paese, dove la Gpa non è ancora regolamentata.

In Italia comunque è già partita la contro-offensiva dell’opposizione, prendendo spunto da una serie di casi concreti. Molte coppie, che hanno già avviato all’estero questo iter e sono addirittura in attesa del parto, hanno già fatto ricorso o hanno intenzione di farlo, come spiegano Marco Cappato e Filomena Gallo, rispettivamente Tesoriere e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. “Siamo pronti a difendere tutte le coppie danneggiate da questa legge ingiusta e irragionevole. Porteremo la nostra e la loro battaglia nei tribunali e in ogni sede adeguata, con l’obiettivo di ristabilire un’opportunità offerta dalla scienza, che una normativa cieca e brutale pretende di condannare come reato universale”.

In altri termini è possibile immaginare l’esplosione di un nuovo contenzioso, che possa trovare una magistratura compiacente, come è nella migliore tradizione della Associazione Coscioni. Riccardo Magi, parlamentare radicale di Europa+, nonostante la promulgazione da parte di Mattarella, continua a parlare di “legge incostituzionale”, pronosticando nuove entrate a gamba tesa della magistratura. “Sarà abbattuta dai tribunali, non perché i giudici sono brutti e cattivi, ma perché il nostro esecutivo è incapace, oltre che ideologico e miseramente crudele”, ha detto, parlando di “un obbrobrio giuridico palesemente incostituzionale, peraltro, visto che questa norma si scontra con l’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

Nessun riferimento al rispetto per la donna che, per motivi strettamente economici, si sente costretta dalla necessità ad affittare il proprio utero vivendo un’esperienza dai risvolti drammatici, prima nell’accoglienza di un figlio non suo e poi nel distacco dopo nove mesi di intensa relazione con il piccolo. Nessun rispetto per il bambino che attraverserà i primi mesi di vita in un contesto ad alta precarietà affettivo-relazionale, con le conseguenze che certamente ne seguiranno. Il vuoto normativo che esiste in Argentina sulla GPA, paradossalmente, facilita una più completa comprensione del fenomeno e mostra con estrema chiarezza questa brutale pratica di sfruttamento, rispetto alla quale, dove esistono, le leggi fanno solo da paravento.

Dalla documentazione che esiste sulla materia, infatti, emerge sempre lo stesso quadro: donne povere o in condizione di fragilità sociale ed economica che rinunciano a ogni diritto sul loro corpo e sul nascituro in cambio di cifre più o meno irrisorie a fronte di un articolato business che arricchisce altri. Dove c’è una legge che consente l’utero in affitto le strutture che stanno dietro alla pratica vengono chiamate agenzie, in Argentina dove una legge non c’è gli inquirenti usano la parola sfruttatori.

Ma accanto a queste strutture che hanno creato un vero e proprio marketing dell’infanzia, fino a far parlare perfino di tratta di esseri umani, l’impostazione ideologica di una larga parte dell’opposizione, lascia profondamente perplessi perché esaspera la conflittualità tra i diritti di alcuni e la negazione dei diritti di altri coinvolti nello stesso processo. Il diritto al figlio di alcuni, cancella il diritto del figlio a fare esperienza di una legittima e distinta maternità e paternità; cancella il diritto di una donna ad accogliere la generazione di un suo figlio per sottoporsi a desideri di altre coppie; esaspera la divisione tra chi è ricco e compra e chi è povero ed è costretto a vendere; tra una norma che tutela alcuni e strumentalizza altri in una spirale ideologica esasperata ed ingiusta.

Fonte: Paola Binetti | IlSussidiario.net

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