Una volta un nostro amico regalò ai suoi cinque figli una macchina ciascuno. Un modellino. E fin qui niente di strano. La particolarità sta nel fatto che si trattava di un piccolo carro funebre. Il nostro amico, peraltro una delle persone più divertenti e allegre che conosca (il solo sentire il suo nome mi fa venire male alle mascelle, talmente tante sono le risate che ci fa fare ogni volta che ci vediamo), suggeriva ai suoi figli di tenere il modellino bene in vista sulla scrivania dove facevano i compiti, o sul comodino, in modo da averlo sotto gli occhi prima di andare a dormire e al risveglio, perché potessero imparare a vivere meglio.
Effettivamente, non so a voi, ma personalmente è questo l’effetto che mi fa partecipare a un funerale, o comunque incrociare in modo più diretto la morte, in qualche circostanza della mia vita. Le cose riprendono le giuste proporzioni, quello che sembra fondamentale forse si rivela trascurabile (per quanto io vorrei morire con i colpi di sole giusti, comunque), quello che ci fa arrabbiare è perdonabile (giorni fa mio marito doveva fare un accertamento, e io ero così preoccupata per lui che ho trovato adorabili le sue scarpe abbandonate in mezzo al corridoio), quello che ci preoccupa si scopre risibile (va bene, perderò il treno, ma sono viva).
Ma soprattutto quello che cambia, guardando quel piccolo carro funebre (o a maggior ragiona incontrandone uno a grandezza naturale, quando la Provvidenza lo mette sul nostro cammino), è la certezza che quello che facciamo non finisce quando lo abbiamo terminato, ma risuona nell’eternità. Ci stiamo incamminando per andare davanti al Signore, e lui leggera la nostra vita con occhi pieni di amore, ma anche di verità e giustizia. Quella bara che vediamo ci può aiutare tantissimo a fare le cose con più cura, con amore, con dedizione, perché l’universo non è un luogo pieno di caos e privo di senso, e la nostra vita non è una parabola che vede il suo picco negli anni della giovinezza e poi scende verso la tomba. La vita, al contrario, è così piena di senso che l’esito delle nostre azioni durerà in eterno, e nei secoli dei secoli non potremo cambiarle, e abbiamo solo adesso per amare Dio. Non è una parabola, la vita, ma al contrario è una linea curva che sale verso l’alto, verso il Cielo, verso il giudice buono che ci aspetta. E tutta la vita diventa un prepararsi a questo incontro tanto atteso, anche se col cuore sicuramente sfiorato (a volte stretto) dal timore.
Questo cambia anche il modo di vivere la vecchiaia, che non è una iattura, dunque, ma la possibilità di far salire l’anima verso l’incontro; mentre il corpo e sempre più lento a muoversi (e anche a correre, mannaggia al cronometro impietoso), più inefficiente (io sono ormai ufficialmente mezza cieca e sorda, e ho 54 anni, chissà come finirò), meno libero di fare tutto, l’anima, al contrario, se la lavoriamo e ce la lasciamo lavorare da Dio, diventa sempre più spogliata dall’uomo vecchio. Perde i pezzi ma sale verso il Cielo, come le navicelle spaziali che, mano a mano che lasciano la stazione di partenza, si alleggeriscono e salgono sempre più su, verso la meta.
Fonte: Costanza Miriano | Il Timone.org