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C’è una mentalità marxista che domina nei nostri libri di testo

Intervista al professore Marco Bassani che ha indagato il pregiudizio anticapitalista e statalista di cui sono intrisi i manuali adottati a scuola

Ci si lamenta un giorno sì e l’altro pure dello stato della scuola italiana. Il punto è che forse il lamento avviene per le ragioni sbagliate. La scuola è in crisi non solo o non tanto perché i soldi investiti sono pochi o perché c’è troppo precariato. La domanda da porsi è: a cosa serve la scuola?

Difficile che possa ridursi a un luogo di impiego per migliaia di persone. Ha essa un compito? La sua missione – forse l’unica e davvero importante – è formare l’ossatura di base di un individuo. Serve cioè a fornire un metodo di studio, affinché poi il discente sia in grado di pensare autonomamente e con la propria testa, con vero spirito critico. Ciò che avviene è un’altra cosa. Lo hanno ben documentato un docente di scuola superiore, Andrea Atzeni, e due professori universitari, Luigi Marco Bassani e Carlo Lottieri in A scuola di declino. La mentalità anticapitalista nei manuali scolastici (Liberilibri).

Prendendo in esame molti testi scolastici di geografia, storia e filosofia utilizzati, gli autori hanno verificato un dato in realtà non sorprendente: la visione del mondo veicolata a scuola è tipicamente marxisteggiante.

«Questo viaggio dimostra che – scrivono Atzeni, Bassani e Lottieri –, dopo il crollo del muro di Berlino, almeno dal punto di vista ideologico, non è cambiato moltissimo». Il comunismo non è morto. Non solo perché vi sono ancora regimi comunisti esistenti, ma perché le idee che stanno alla base dei comunismi reali sono vive e vegete, anche se magari vengono talvolta re-interpretate alla luce dei nuovi temi sensibili – su tutti, ambientalismo e gender, oltre ai tradizionali temi economici. Abbiamo sentito per Tempi uno degli autori del libro, il professor Bassani, ordinario di Storia del pensiero politico all’Università Pegaso.

Professore, il libro che avete scritto inizia parlando delle «radici ideologiche del disastro italiano». Quali sono secondo voi?

I manuali sono perfetti per costruire nel corso del tempo una percezione naturalmente anti-mercato. Le operazioni classiche del marxismo non sono mai state quelle di costruire visioni di una società talmente bella e appetibile di fronte alla quale quella esistente non poteva durare un’ora di più. Marx dedica circa cinquemila pagine alla critica del capitalismo e non più di una decina a parlare di comunismo. Criticare l’esistente in modo continuo finché anche nella mente più refrattaria non si siano fatte strada due alternative che poi si riducono a una. O rovesciare i rapporti di produzione, o affidare le scelte non ai milioni di liberi individui che interagiscono liberamente nella società, ma a un gruppo di burocrati illuminati. Ed è lo statalismo selvaggio, promosso anche dai libri di testo, la vera cifra del declino italiano. L’Italia è un Paese fermo da trent’anni, dopo Zimbabwe e Venezuela è il luogo del pianeta con la peggiore crescita dal 1995.

Lo Stato, concepito come realtà vivente, è visto da molti come il salvatore, tanto che voi parlate di «tronfio trionfo dello Stato». Come si è arrivati a questo?

L’esaltazione acritica del “dispositivo politico della modernità” (lo Stato) e degli uomini che meglio ne hanno interpretato lo spirito è il passatempo preferito degli estensori dei manuali. Leggendo i libri scolastici di lingua italiana ci si potrebbe facilmente convincere che una tradizione di libertà – come spazio individuale lontano dal potere – non abbia avuto alcuna rilevanza negli ultimi venticinque secoli di storia dell’Occidente. La lezione più pericolosa è però l’idea che lo Stato sia il difensore della società di fronte alle minacce delle imprese. L’impresa per sua natura sarebbe portata a sfruttare, inquinare, cospirare, mentire e agire in mille altri modi contro la società e i diritti dei singoli, l’antidoto costantemente evocato per fare fronte a questi pericoli è lo Stato. Questa visione “angelicata” della politica e dei meccanismi rappresentativi, della legislazione e del modo in cui la giustizia viene fatta applicare è davvero il peggior infingimento dei nostri libri di testo.

È secondo lei recuperabile una scuola che formi persone davvero libere e pensanti dalle incrostazioni ideologiche esistenti?

Non so proprio come essere ottimista, cioè dove trovare qualche goccia di speranza nella realtà culturale devastata di queste aree. In fondo, le radici della catastrofe italiana sono profonde. Questo è il Paese che prima ha dato al mondo il fascismo e poi, per molti decenni, ha avuto l’area politica socialcomunista più vasta di tutto l’Occidente (ma le cose sono davvero cambiate?). Quasi con orgoglio, a destra e a manca in Italia si rimarcava costantemente di avere il più grande partito comunista dell’Occidente. La capriola intellettuale che dobbiamo fare è però tanto difficile quanto necessaria, almeno se riteniamo che le future generazioni non abbiano grosse colpe e abbiano diritto a non crescere in un terzo mondo indifferenziato, da Cosenza a Milano.

Fonte: Carlo Marsonet | Tempi.it

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