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«Non fatelo». Il suicidio assistito divide i progressisti nel Regno Unito

L’ex premier Gordon Brown, il ministro Streeting e il liberaldemocratico Davey si oppongono alla “buona morte”, al voto venerdì. «Ho vegliato mia figlia morente, sono stati i giorni più preziosi della mia vita»

Venerdì il parlamento britannico vota una proposta di legge della deputata laburista Kim Leadbeater per l’introduzione del suicidio assistito in Inghilterra e Galles, ma a manifestare contrarietà al progetto sono proprio laburisti di peso come l’attuale ministro della Sanità Wes Streeting e l’ex primo ministro ed ex ministro delle Finanze Gordon Brown. Ad essi tendenzialmente si affianca il leader dei liberaldemocratici Ed Davey. I casi di Brown e di Davey sono particolarmente interessanti perché l’avversione del primo e le perplessità del secondo sono da loro stessi spiegate come frutto delle loro esperienze personali con la sofferenza e morte di loro cari.

«Il suicidio assistito non è una buona opzione»

Nel gennaio 2002 Brown e la moglie Sarah hanno perduto la figlia Jennifer Jane, nata prematura il 28 dicembre 2001, in conseguenza di un’emorragia cerebrale che causò il suo decesso dopo appena 11 giorni di vita. In un articolo per il Guardian l’ex primo ministro ha scritto:

«Potevamo solo sedere presso di lei, tenerle la manina ed essere lì per lei mentre la vita svaniva. È morta tra le nostre braccia. Ma quei giorni che abbiamo trascorso con lei rimangono tra i giorni più preziosi della vita mia e di Sarah. L’esperienza di stare accanto ad una bambina mortalmente malata non mi ha fatto abbracciare la causa della morte assistita; mi ha convinto del valore e dell’imperativo di una buona assistenza nel fine vita».

Continua l’ex premier: «Entrambe le parti del dibattito sulla morte assistita condividono la stessa preoccupazione: la genuina compassione per coloro che soffrono morti dolorose. Dal mio punto di vista la morte assistita non è l’unica opzione a disposizione, e non è nemmeno una buona opzione quando la si confronti con le cure palliative che potrebbero essere disponibili per assicurare una buona morte».

Assistere la vita, non legiferare la morte

Brown racconta la sua scoperta della figura di Cicely Saunders (l’iniziatrice degli hospice per i malati terminali) e la sua esperienza di due settimane insieme alla moglie come volontari in un centro per le cure palliative. Lamenta gli scarsi finanziamenti pubblici alla loro attività e il fatto che ciò ne sta portando molti alla cessazione dei loro servizi: «Con solo un terzo dei costi complessivi a carico del servizio sanitario nazionale, molti dei 200 hospice del Regno Unito, che insieme supportano circa 300 mila persone all’anno, si trovano ad affrontare tagli e licenziamenti».

Come altre personalità attive nel dibattito, è convinto che la legislazione proposta rappresenti un piano inclinato: «Una legge sulla morte assistita, per quanto ben intenzionata, modificherebbe l’atteggiamento della società nei confronti degli anziani, dei malati gravi e dei disabili, anche se solo in modo subliminale. E temo anche che le professioni assistenziali perderebbero qualcosa di insostituibile: la loro posizione esclusivamente di caregiver. A ciò si aggiunge la creazione della china scivolosa per cui i legislatori, senza dubbio spinti da compassione, troverebbero difficile resistere all’erosione delle tutele e all’estensione dell’ammissibilità».

Brown raccomanda ai legislatori un diverso modo di agire: «Con le prestazioni del servizio sanitario nazionale al minimo storico, questo non è il momento giusto per prendere una decisione così gravida di conseguenze. Dobbiamo invece dimostrare che possiamo fare meglio nell’assistere la vita prima di decidere se legiferare sui modi di morire».

«Nessuno deve sentirsi un peso»

Davey, leader di un partito che normalmente sposa posizioni ultraprogressiste sui temi antropologici, si è dichiarato incline a votare contro la proposta di legge. Il deputato di Kingston e Surbiton ha affermato di essere preoccupato per l’«impatto psicologico» della legalizzazione della morte assistita sugli anziani e sui disabili per essere stato testimone e partecipe della battaglia di sua madre contro il cancro osseo.

Davey ha detto ai giornalisti di aver somministrato morfina a sua madre per aiutarla ad affrontare il dolore della sua condizione verso la fine della sua vita. Nonostante soffrisse prima di morire, il leader liberaldemocratico ha detto che non riteneva che «lei avrebbe voluto» avere qualcuno che la aiutasse a togliersi la vita. Invece di concentrarsi sulla morte assistita, il Regno Unito dovrebbe «fare molto meglio» per quanto riguarda le cure palliative. Una migliore assistenza di fine vita allevierebbe i timori delle persone di dover affrontare una morte dolorosa, rendendo superflui molti casi di suicidio assistito.

La preoccupazione per gli effetti di una legge eutanasica sui più fragili è anche alla radice delle motivazioni che porteranno il ministro della Sanità Wes Streeting a votare contro la proposta di legge di Kim Leadbeater venerdì. Qualche settimana fa ha dichiarato di essere «preoccupato del rischio che le persone siano costrette a togliersi la vita prima di quando avrebbero voluto, o che si sentano in colpa per essere diventati un peso».

La legge sul fine vita nel Regno Unito

La proposta di legge di Kim Leadbeater si chiama Terminally Ill Adults (End of Life) Bill e stabilisce che chiunque voglia porre fine alla propria vita deve avere più di 18 anni, vivere in Inghilterra o Galles, essere riconosciuto capace di intendere e di volere e deve aver espresso un desiderio chiaro e informato, libero da coercizioni o pressioni. La prognosi della sua malattia deve prevedere la morte entro sei mesi e la sua richiesta deve essere controfirmata da due diversi medici a distanza di sette giorni.

Un giudice dell’Alta Corte deve convocare almeno uno dei medici e può interrogare la persona che fa la richiesta di suicidio assistito. Dopo che il magistrato ha emesso una sentenza favorevole, il paziente dovrebbe attendere altri 14 giorni prima di agire. Chi dovesse esercitare pressioni sul malato per spingerlo a chiedere il suicidio assistito sarebbe punibile con una pena fino a 14 anni di carcere.

Non ci sono fondi per le cure palliative

Il primo ministro Keir Starmer lascerà libertà di voto secondo coscienza ai deputati del partito laburista, mentre l’associazione dei medici britannici (British Medical Association) e quella degli infermieri (Royal College of Nursing) si sono dichiarate neutrali sull’argomento. Circa 300 mila persone hanno ricevuto cure palliative in condizioni di malattia terminale in oltre 200 hospice nel corso del 2022/23 secondo i dati della Ong Hospice UK.

Le attività di questi centri costano 1,6 miliardi di sterline (1,9 miliardi di euro), ma il sistema pubblico rimborsa loro solo 500 milioni all’anno, mentre il resto è coperto da donazioni, lasciti di eredità, vendite di negozi di beneficenza e attività di fundraising. Sempre secondo Hospice UK, un hospice su 5 è stato costretto a tagliare i servizi l’anno scorso o sta progettando di farlo; alcuni hanno diminuito il numero dei letti e licenziato parte del personale.

Si stima che 250-300 persone al giorno muoiano in Inghilterra e Galles senza poter usufruire delle cure palliative di cui avrebbero bisogno.

Fonte: Rodolfo Casadei | Tempi.it

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