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La Iena che incontra

Giornalista, personaggio tv, ora scrittore. Alessandro Sortino racconta il suo percorso di fede: «Solo Dio può cambiare la storia e il male»

La curiosità di conoscere Alessandro Sortino è nata leggendo le interviste per l’uscita del suo libro Il Dio nuovo. Storia dei primi cristiani che portarono Gesù a Roma e del ritorno ne Le Iene, il programma televisivo di cronaca nera, da dove se ne era andato malamente nel 2008. A colpire non è stata tanto la definizione di sé come “giornalista cattolico”, ma alcune risposte dove affiorava la sua fede che fa «incontrare le persone e guardarle negli occhi per arrivare alla verità. E raccontare storie, la contraddizione dell’uomo, il bene e il male». Al telefono, quando gli propongo di venire io a Roma per l’intervista, spiazzandomi dice: «Capisco, per Giussani la categoria dell’incontro è fondamentale. Ho alcuni cari amici in CL».

Classe 1969, Sortino è autore di programmi d’inchiesta come Piazzapulita, NemoNessuno escluso, Presa diretta, collaboratore di Paolo Ruffini nella costruzione del palinsesto di Tv2000 dove ha ideato Beati voi, sulle beatitudini evangeliche, vincitore di premi e altro ancora. Ma nel bar fuori dalla stazione Termini dove ci incontriamo, Sortino racconta la sua storia in cui passato e presente sono un tutt’uno per la densità di percezione della vita e del suo incontro con Cristo. Nel dialogo le domande hanno solo seguito ciò che avveniva.

Partiamo dall’inizio: come sei approdato al giornalismo?

Al liceo facevo 8.30, un giornale satirico che ebbe un certo successo, ai tempi il mio idolo era Michele Serra. La satira è una cifra nel mio percorso lavorativo. Dopo la maturità, mi iscrivo a Giurisprudenza che non ho mai concluso pur amando molto il Diritto. Comunque, nel 1995 mi presento a Riccardo Bonacina, direttore del settimanale Vita, e gli propongo un reportage su Villa Literno, dove come obiettore di coscienza ero andato ad allestire una tendopoli per 150 immigrati. Bonacina mi dice: ok, vai. Mi diede fiducia, pur non avendomi mai visto, offrendomi una scrivania, un telefono, un fax, nel frattempo avevo iniziato a collaborare con Repubblica. Riccardo è stato il mio primo amico di CL, da lui ho imparato ciò che sta alla base di questa professione: l’incontro con l’altro. Nel ’98 mi chiamano a Radio Capital, dove scrivo programmi di approfondimento e di satira. Nel 2000 mi sposo, mi assumono a Le Iene e inizia la mia carriera televisiva. Ma devo tornare indietro, perché c’è stato un episodio importante.

La tua conversione?

Prima, la morte di mia mamma. Ero al primo anno di Giurisprudenza. Il dolore era immenso, eppure mia madre, che non mi ha dato un’educazione particolarmente cristiana – eravamo una famiglia blandamente cattolica –, ha cominciato ad abitare il mio cuore. Sentivo la sua presenza, non come un fantasma, sia ben chiaro, ma con un legame d’amore che supera il tempo. Mi ripetevo: la morte non esaurisce la realtà, c’è una speranza che va oltre. Poi un giorno entro nello studio di mio padre e a casaccio prendo un libro dalla libreria. In quel periodo, pur di non studiare, leggevo di tutto. Era un’edizione del Vangelo, nella traduzione di alcuni letterati italiani, tra cui Corrado Alvaro. Per me la scrittura ha sempre avuto un certo peso. Lo leggo d’un fiato rimanendone folgorato.

Perché?

Fino a quel momento, pensavo che la liberazione dal male, dal dolore, quella che i greci chiamano catarsi, avvenisse solo attraverso il sacrificio degli altri o personale. Ed è così normalmente: a chi e per chi sacrifichiamo la vita. E invece Gesù abroga tutto questo, quando dice: sono io l’Agnello che toglie i peccati del mondo. Sono un narratore, questa storia, anzi la Storia, mi è sembrata troppo umana per essere stata concepita da un uomo. Questo l’aspetto razionale della mia fede. Perché poi mi risuonavano le parole del Vangelo di Giovanni: «Vi chiamo amici». Gesù stava chiamando me. Non ci dormivo la notte: pensavo di dover lasciare tutto, per dove e per cosa non sapevo.

Caravaggio, “Crocifissione di san Pietro” (1600-1601), Santa Maria del Popolo, Roma

Cosa hai fatto?

Sono andato da un prete che si è rivelato però molto scettico sulla sua fede! C’è stato un dialogo surreale tra un neo convertito che cercava di convincere un prete dubbioso, fino a quando lui ha detto: «C’è solo un modo per risolvere questa cosa. Ti porto a fare volontariato in una casa famiglia per malati di Aids gestita da un ordine religioso». Immerso nel dolore, in situazioni al limite, facendo cose impensabili per me, ho vissuto la dimensione della carità, cioè ho incontrato Cristo in quelle persone.

Un episodio spartiacque della tua vita?

Inizialmente sì, perché poi non ho retto e me ne sono andato, non ho più frequentato la Messa, rimaneva solo il mio rapporto con il Vangelo. Nel frattempo, inizio a collaborare a Piazzapulita. Alle dimissioni di papa Ratzinger, in controtendenza ai colleghi che volevano fare servizi sugli scandali ecclesiastici, da credente propongo il racconto di una Chiesa che si prepara all’elezione del nuovo Papa. Non trovo né un prete né una suora disposti a parlarmi. Mi vedevano come un inquisitore. Casualmente entro nella Basilica di Santa Balbina, dove un francescano insieme a una piccola comunità di credenti stava invocando lo Spirito Santo. Una sorta di funzione, decisamente un po’ strana. Il frate acconsente all’intervista e mi chiede se anch’io voglio ricevere lo Spirito Santo. Al momento dico di no, ma poi torno perché in fondo qualcosa gli dovevo. Lui mi impone le mani e io, assolutamente scettico verso queste pratiche, sento che qualcosa mi invade. Come un soffio, una brezza leggera che mi ha dato la percezione che io potevo amare ed essere amato. Lo so, a raccontarlo sembra una cosa strana…

Se a raccontarla non fosse Alessandro Sortino, il rosso de Le Iene… 

Non ho più rivisto quel frate, ma ho ripreso in mano la Bibbia e ho ricominciato ad andare a Messa. Nel 2014 Paolo Ruffini mi chiama a Tv2000 come vicedirettore per costruire tra l’altro un programma sulla Laudato si’. Ormai avevo una certa fama come inviato, mi sono proprio chiesto: perché andare nella tv dei vescovi che, insomma, si presenta come un di meno?

Ma hai accettato.

Ho pensato che quell’offerta poteva avere un significato per la mia vita in quel momento, cioè era l’opportunità di usare il mio talento, il linguaggio televisivo, per la diffusione del Vangelo. Non è stata una scelta eroica, sia ben chiaro, sicuramente una bella avventura durata due anni, finché sono andato a Nemo. Ho continuato la collaborazione producendo la docuserie Le pietre parlano, da cui Rizzoli mi ha chiesto di scrivere il libro.

Ne Il Dio nuovo si cammina, si vive insieme a Pietro e a Paolo e ai primi cristiani. Come se tutto avvenisse ora. Perché, come scrivi nell’introduzione, è necessario immedesimarsi?

Solo Dio può cambiare la storia e il male, come dice sant’Agostino, viene dal cuore dell’uomo non dalla realtà. Se l’Eterno è compresente a quello che facciamo ora, per riuscire a rivivere l’evento che ha cambiato la vita degli apostoli, e che cambia la tua vita, devi far entrare quel tempo nel tuo tempo. Metterti in cammino. E questo per me è possibile con la narrazione, il cristianesimo è una religione di narratori, di realtà raccontate. Pensa agli affreschi nelle chiese. Un esempio per me formidabile è Caravaggio, vero teologo: prende Gesù e lo mette a tavola con i suoi amici, ladri e prostitute.

Ci sono due parole che ricorrono nel libro: incontro e presenza.

Cristo è presente oggi nell’Eucarestia, lì lo incontri e per me è così. Sono molto affezionato a un monologo che ho fatto durante una puntata di Nemo, perché sul palco ho proprio detto questa frase: «La Verità è una persona». Chi lavorava con me era d’accordo, ma quando le persone sono schiacciate dall’ideologia e dalle prediche anticristiane, non scoprono che l’incontro non avviene con uno, ma con l’Uno, perché Cristo si è incarnato.

Cosa dicono tua moglie e i tuoi figli?

Io sono un parolaio, mia moglie invece è una che fa. Quello che io dico, lei lo vive. I miei figli… Io sono stato educato alla libertà e così mi comporto con loro. Sono dell’idea che quello che converte è una presenza. Loro vedono che quando sono disperato vado a prendere l’Eucarestia. Quando mi sono convertito, sentivo Gesù vicino, adesso per la mia incapacità, incoerenza, per non aver amato abbastanza, è san Pietro quello che sento a me più prossimo.

Che cosa vuol dire «non aver amato abbastanza»?

Il giorno che mi sveglierò e guardando mia moglie angosciata dalle cose da fare, mio figlio arrabbiato per l’università, io stesso in arretrato sui testi da scrivere… avrò la coscienza che quel giorno è unico, che quel giorno è Natale, Pasqua, che è speciale esistere: ecco, questo è amare.

Cosa permette questo?

La fede. Non potrei dirti queste cose se ieri non avessi ricevuto l’Eucarestia.

Fonte: Paola Bergamini | Clonline.org

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