Giovedì il governo australiano ha approvato, con un voto al Senato, quella che ha definito una legge “leader a livello mondiale” per cancellare gli account dei social media, tra cui Snapchat, TikTok, Facebook, Instagram, Reddit e X, dai dispositivi dei minori di 16 anni.
La legge prevede che i tribunali impongano multe pari a quasi 50 milioni di dollari australiani (32 milioni di dollari) alle aziende di social media che non hanno adottato misure ragionevoli per impedire ai bambini soggetti a limiti di età di utilizzare i loro servizi. La legge non dice alle aziende come farlo, ma chiede loro di adottare soluzioni tecnologiche per verifica dell’età.
«I social causano danni sociali»
L’introduzione di misure per vietare ai minori l’accesso ai social network è un tema discusso in molti Paesi del mondo, soprattutto da quando – recentemente – sono emerse sempre più evidenza scientifiche dei danni alla salute provocati da un uso eccessivo di device elettronico e piattaforme social. Quello australiano però è il primo governo ad avere approvato una legge così stringente.
Intervenuto sul blog After Babel di Jonathan Haidt, il professore americano autore di La generazione ansiosa: Come i social hanno rovinato i nostri figli, il parlamentare australiano Andrew Leigh ha scritto che «i social media stanno causando danni sociali. L’obiettivo del nostro governo è garantire che i giovani australiani non vengano sfruttati da pratiche commerciali dannose e ingannevoli e garantire che i giovani possano trascorrere più tempo a godersi esperienze nel mondo reale e a uscire con gli amici senza la dipendenza dei social media».
I dati sul peggioramento della salute mentale citati da Leigh sui giovani australiani sono impressionanti, ricordano quelli che lo stesso Haidt cita per gli Stati Uniti e che sono alla base degli allarmi che anche in Italia numerosi esperti lanciano: aumento dei disturbi mentali, di ansia e depressione, degli episodi di autolesionismo e di suicidi.
Il problema del cyberbullismo e della pornografia online
Tutta colpa di social e smartphone? La questione è dibattuta, ma sempre più test ed esperimenti mettono scientificamente in correlazione le due cose. Ci sono poi gli episodi, in aumento e documentati dalla cronaca, di cyberbullismo, con minacce e ricatti – spesso a sfondo sessuale – che in alcuni casi portano al suicidio ragazzi anche molto giovani. Infine c’è il tema della pornografia online: scrive Leigh che «il bambino australiano medio incontra la pornografia online per la prima volta all’età di 13 anni. I giovani hanno descritto gli incontri involontari con la pornografia online (che spesso include violenza sessuale) come frequenti, inevitabili e indesiderati».
In molti paesi diverse scuole hanno deciso di vietare gli smartphone durante le ore scolastiche, registrando miglioramenti immediati nell’attenzione durante le lezioni, nei risultati scolastici, persino nell’umore. «Ma vietare l’uso dei cellulari a scuola non basta», sostiene il parlamentare australiano. «L’effetto dei social media sulla vita dei giovani va ben oltre le trenta ore circa che trascorrono a scuola ogni settimana». Da qui la decisone, dal sapore paternalista, di vietarli per legge.
Una legge che al momento ha confini vaghi, non dice quali saranno le piattaforme a doversi adeguare né stabilisce criteri chiari su come identificarle: Ci sarà un lasso di tempo di almeno 12 mesi dopo l’approvazione della legislazione per consentire alle società, ai governi federali e all’eSafety Commissioner di stabilire i sistemi e i processi necessari perché sia efficace.
Social vietati agli under 16 in Australia. I dubbi degli esperti
La norma, approvata da una larga maggioranza del Parlamento (lo stesso che il giorno prima ha però bocciato una proposta di legge che avrebbe consentito al governo di censurare i contenuti dei social media considerati “falsi, fuorvianti e ingannevoli”), ha trovato ampio favore nella popolazione ma suscitato diverse critiche tra gli esperti: il dibattito non verte tanto sugli effetti negativi dei social media, riconosciuti da tutti, quanto piuttosto se vietarli del tutto sia la risposta giusta. Il mese scorso, più di 140 esperti hanno inviato una lettera congiunta al governo affermando che il divieto è una risposta “brusca” al problema e che rimuove l’incentivo per le aziende tecnologiche a investire in modi nuovi per proteggere i bambini online. Amnesty International ha sconsigliato di approvare la legge, sostenendo che un divieto che isola i giovani non soddisfa l’obiettivo dichiarato dal governo di migliorare la loro vita.
Social vietati agli under 16. Un divieto aggirabile
C’è poi chi sostiene che un simile divieto non funzionerà, perché i bambini esperti di tecnologia sanno meglio degli adulti come aggirare filtri e restrizioni di età. Obiezione respinta da Leigh, che ricorda il fatto che «gli adolescenti minorenni bevono alcolici. Gli automobilisti passano con il rosso. I contribuenti richiedono detrazioni eccessive. I datori di lavoro sottopagano i lavoratori. I pedoni attraversano con le strisce pedonali. Le persone gettano rifiuti. Il fatto che una legge venga messa alla prova non è di per sé una ragione contro la legislazione». Un’età minima per i social media avrebbe valore anche solo nello stabilire un solido standard sociale: «L’età minima fungerà da importante punto di riferimento, consentendo ai genitori di avere conversazioni significative con i propri figli sul comportamento online appropriato e di stabilire limiti chiari».
Intervistata dalla Cnn, Amanda Third, co-direttrice del Young and Resilient Research Centre presso la Western Sydney University, ha detto che «l’idea di un divieto è incredibilmente seducente per i genitori, perché sembra che toglierà loro in modo facile questo tema dalla lista delle cose di cui preoccuparsi. Ma in realtà un divieto non porterà il sollievo che i genitori stanno cercando. È un dato di fatto che questo continuerà a essere una parte fondamentale della genitorialità in futuro».
Social e minori, il ruolo dei genitori
Intervistata da Tempi a settembre, Stefania Garassini, docente universitaria che da anni studia l’impatto della tecnologia sulla società e presidente di Aiart Milano, associazione nazionale che opera nella formazione a un uso consapevole dei media, si diceva d’accordo sull’introduzione di una verifica dell’età per chi accede ai social e sulla necessità di responsabilizzare le piattaforme, ma aggiungeva: «I genitori sono l’elemento cruciale insieme alle piattaforme. Nella maggior parte dei casi non si rendono conto del fatto che lasciare un ragazzino in camera sua con uno smartphone è come lasciarlo da solo in una piazza sconosciuta e pericolosa in cui può succedere di tutto. E questo va ribadito: Internet non è un ambiente per bambini, è fatto da adulti e per adulti. Un genitore deve saperlo e poi chiedersi: voglio che mio figlio frequenti da solo un mondo per adulti? Io penso di no, almeno fino a una certa età».
La responsabilità degli adulti
Più che imporre divieti facilmente aggirabili, sarebbe meglio accompagnare i ragazzi nell’utilizzo dei social insegnando loro come gestirli. L’editorialista di Spiked Joanna Williams ha scritto che una legge come quella australiana fa fuori l’autorità degli adulti: «Proprio come gli adulti sono responsabili di ciò che i bambini vedono e fanno nel mondo reale, così gli adulti devono essere responsabili di ciò che i bambini combinano online. Ma, cosa fondamentale, sono i genitori, non i ministri del governo, che normalmente stabiliscono le regole per i bambini sul comportamento in casa e sono gli insegnanti, non le aziende tecnologiche globali, che dovrebbero dettare cosa succede in classe. I divieti imposti dal governo sui social media tolgono il potere a genitori e insegnanti di decidere quali libertà sono consentite ai bambini online. Lo mettono invece nelle mani di ministri del governo e avvocati. Genitori e insegnanti diventano quindi obbligati a seguire le regole tanto quanto lo sono i bambini. L’autorità degli adulti, nel suo complesso, subisce un colpo mortale».
La privacy in pericolo?
In gioco c’è poi il tema della privacy: In un post su X della scorsa settimana, Musk ha definito il disegno di legge australiano «un modo subdolo per controllare l’accesso a Internet». Scrive ancora Williams:
«Limitare l’accesso dei bambini al mondo online apre la strada a maggiori restrizioni per gli adulti. C’è già preoccupazione che le restrizioni dell’Australia costringeranno chiunque utilizzi i social media a provare la propria identità per verificare la propria età. C’è chi avverte che la legge proposta “rappresenta una significativa espansione della verifica dell’identità digitale nei social media, basandosi sulle attuali tecnologie di stima dell’età biometrica e di verifica basate sui documenti”. La registrazione elimina l’anonimato che, purtroppo, si è dimostrato necessario affinché le persone possano pubblicare verità online, come “le donne sono femmine adulte”, senza perdere i propri mezzi di sostentamento. I tentativi di controllare l’accesso dei bambini ai social media finiranno inevitabilmente per limitare la libertà di parola di tutti i cittadini australiani».
Nei prossimi mesi si capirà meglio se la legge australiana sarà effettivamente applicabile. Che le grandi piattaforme social inizino a prendersi le loro responsabilità non può che essere un passo nella giusta direzione. Soltanto vietare, però, non può bastare.