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Trent’anni fa l’origine della guerra tra Russia e Ucraina

Il 5 dicembre è l’anniversario dell’accordo con cui Kiev rinunciò alle sue atomiche in cambio del riconoscimento dei suoi confini, accordo violato dai russi nel 2014 e nel 2022. Ma vanno ricordate anche le parole che Eltsin rivolse a Clinton.

Il 5 dicembre ricorrono trent’anni dalla firma del memorandum di Budapest, il documento con cui Federazione Russa, Stati Uniti e Regno Unito si impegnarono a rispettare la sovranità e i confini post-sovietici dell’Ucraina in cambio della sua denuclearizzazione militare: Kiev consegnò 1.900 testate atomiche alla Russia, che provvedette a smantellarle. Oltre a impegnarsi a rispettare l’indipendenza dell’Ucraina, Mosca cancellò 2,5 miliardi di dollari di debiti ucraini per gas e petrolio di provenienza russa. L’anniversario è certamente l’occasione per richiamare ancora una volta l’attenzione generale sulla disonestà e inaffidabilità della Russia, che prima nel 2014 con l’occupazione della Crimea e poi nel 2022 con l’”operazione militare speciale” che ha reso possibile i referendum locali e il successivo voto della Duma che ha ratificato l’annessione degli oblast di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporižžja, ha violato i primi due articoli del memorandum. Sottoscrivendoli si era impegnata a «rispettare l’indipendenza e la sovranità e gli esistenti confini dell’Ucraina» (art. 1) e a «trattenersi dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’Ucraina, e a far sì che nessuna delle sue armi sia mai usata contro l’Ucraina» (art. 2).

Si tratta tuttavia di una caso di memoria selettiva e interessata. Il 5 dicembre di trent’anni fa accaddero altre due cose che aiutano a spiegare l’attuale situazione di conflitto fra Russia e Ucraina e il ruolo indiretto degli Usa e della Nato nello stesso. I due fatti sono il sotterfugio con cui gli Stati Uniti si sottrassero all’impegno di difendere l’Ucraina in caso di aggressione e la prima, plateale protesta pubblica dei governanti russi contro gli americani dopo la fine della Guerra fredda, motivata dall’espansione della Nato ad oriente e del mancato coinvolgimento della Russia in una nuova architettura di sicurezza europea. A formularla fu il più filo-occidentale di tutti i presidenti che la Russia abbia avuto: Boris Eltsin.

La differenza tra “assurance” e “guarantee”

In inglese il documento sottoscritto a Budapest s’intitola “Memorandum on Security Assurances” anziché “Memorandum on Security Guarantees” perché così insistette il Dipartimento di Stato Usa. In italiano il significato di “assurance” e “guarantee” è lo stesso: garanzia. Non così nella testa degli avvocati del Dipartimento di Stato, che distinguevano fra le due cose. “Security guarantees” avrebbe implicato, come desideravano gli ucraini, l’uso della forza militare per assistere il paese denuclearizzato attaccato da un aggressore (allo stesso modo dell’articolo 5 del Patto Atlantico per i membri della Nato), mentre “Security assurances” avrebbe semplicemente precisato la volontà delle parti di non violare l’integrità territoriale dell’Ucraina. Alla fine, nel verbale del negoziato venne letta una dichiarazione secondo cui il senso minore (secondo gli avvocati statunitensi) della parola inglese “assurances” sarebbe stata l’unica traduzione implicita per entrambi i termini quando questi apparivano nelle tre versioni linguistiche della dichiarazione.

Che gli americani non intendessero assumersi la responsabilità di reagire direttamente a gravi violazioni dell’integrità territoriale dell’Ucraina appare ancora più chiaro all’art. 4 del Memorandum, laddove i paesi firmatari «riaffermano il loro impegno a sollecitare un’azione immediata del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per fornire assistenza all’Ucraina, in quanto Stato non dotato di armi nucleari e parte del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, nel caso in cui l’Ucraina dovesse diventare vittima di un atto di aggressione o oggetto di una minaccia di aggressione in cui vengono utilizzate armi nucleari». Questo è il massimo di protezione che il memorandum di Budapest offre all’Ucraina in caso di aggressione esterna: i tre paesi firmatari si impegnano a rivolgersi al Consiglio di Sicurezza, dove qualunque decisione può essere bloccata dal veto di uno dei cinque membri permanenti. Fra i quali si trova la Russia…

La Nato ai confini della Russia

Perché l’Ucraina accettò un tale patto leonino? Perché doveva cancellare almeno una parte dei suoi debiti, aveva bisogno di prestiti americani e non sapeva letteralmente che farsene delle testate nucleari: i codici di attivazione erano nelle mani di Mosca.

Lo sfogo di Eltsin è passato alla storia ma oggi raramente è rievocato. «Perché state seminando i semi della sfiducia? L’Europa è in pericolo di cadere in una pace fredda», disse il presidente russo rivolgendosi ai rappresentanti dei 16 paesi Nato presenti al summit dell’Osce che vide la firma del memorandum, e che di lì a cinque anni sarebbero diventati 19 con l’ingresso di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. «Ci viene spiegato che questa espansione è per la stabilità del continente, nel caso che in Russia avvengano sviluppi indesiderati», continuò. «Se l’obiettivo è quello di portare la Nato ai confini della Russia, permettetemi di dire una cosa: è troppo presto per seppellire una Russia democratica».

Effettivamente era presto allora, ma la piega che hanno preso gli avvenimenti più tardi, più o meno all’epoca in cui la Nato era arrivata a 26 membri (cioè dopo il 2004), è a tutti nota. «La storia dimostra che è una pericolosa illusione immaginare che i destini del continente e della comunità mondiale in generale possano essere gestiti in qualche modo da una sola capitale», continuava Eltsin, e si sente l’anticipazione di quello che in toni molto più minacciosi avrebbe detto Vladimir Putin alla Conferenza per la sicurezza di Monaco nel 2007. Commentava il giorno dopo il Los Angeles Times: «Benché gli Usa e i loro partner nella Nato insistano che a nessuna nazione europea sarebbe impedito di aderire alla Nato, un punto che il presidente Clinton ha ribadito oggi, sia la Nato che Mosca sanno che la Russia rimane percepita come nemico in Europa e sarebbe in fondo alla lista».

Eltsin a Clinton: «Perché vuoi farlo?»

Nel suo intervento Bill Clinton cercò di rassicurare Eltsin come aveva fatto in precedenza in tutti i loro incontri, telefonate e scambi epistolari: sì, la Nato avrebbe continuato ad espandersi, ma in parallelo si sarebbe sviluppato il Partenariato per la Pace (che avrebbe riunito paesi Nato e non Nato), che avrebbe visto la Russia associata alla gestione della sicurezza in Europa. Russia che sarebbe pure entrata a far parte del G7. Questa soluzione veniva accolta dai russi con sentimenti contrastanti di frustrazione e speranza, di illusione e diffidenza. Eltsin auspicava che alla fine la Nato e gli organismi paralleli ai quali partecipava la Russia (Partenariato per la pace, Osce) confluissero in un unico soggetto politico-militare, gli americani mantenevano sull’argomento un’astuta ambiguità strategica, che permetteva loro di continuare ad espandere la Nato senza provocare una reazione decisa da parte della Russia. Gioco che andrà avanti fino al 2014 (Crimea, inizio della guerra civile nel Donbass).

Documenti desecretati del National Security Archive americano ci consentono di conoscere i contenuti dello scambio fra Clinton ed Eltsin a Mosca nel maggio del 1995, quando il presidente americano aveva accettato l’invito per le celebrazioni dell’anniversario della vittoria sovietica nella Seconda Guerra mondiale. Ne propone alcuni passaggi Alessandro Cassieri nel suo Tra Russia e Ucraina. «Eltsin: “Non vedo altro che umiliazione per la Russia, se procedete. Perché vuoi fare questo? Cosa possiamo pensare se un blocco continua ad esistere mentre il Patto di Varsavia è stato abolito? È una nuova forma di accerchiamento se il blocco sopravvissuto alla Guerra Fredda si espande ai confini della Russia. Molti russi hanno un senso di paura. Abbiamo bisogno di una nuova struttura di sicurezza paneuropea, non di quelle vecchie!”. Clinton: “Puoi dire che non vuoi che l’espansione venga accelerata, ti ho detto che non lo faremo. Ma non chiederci anche di rallentare”. Eltsin: “Per me, consentire che i confini della Nato si espandano verso quelli della Russia sarebbe un tradimento del popolo russo”. Clinton: “Non sosterrò alcun cambiamento che mini la sicurezza della Russia o che ridivida l’Europa”».

Un carro armato in azione in Ucraina

La strada sbagliata

Molti esperti e accademici americani negli anni successivi hanno criticato la politica di espansione della Nato in Europa orientale senza parallele concessioni allo status di potenza mondiale della Russia, il più famoso dei quali è stato certamente Henry Kissinger. Ma fra coloro che hanno avuto responsabilità dirette sugli avvenimenti di quegli anni il critico più importante è l’ex ministro della Difesa William Perry, capo del Pentagono durante la prima amministrazione Clinton.

Scriveva Perry all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022: «Molti hanno indicato l’espansione della Nato negli anni Novanta come una provocazione di importanza critica. A quel tempo io mi opposi a quell’espansione, in parte per il timore del suo effetto sulle relazioni russo-statunitensi. Ma la questione più ampia non era appena l’espansione della Nato, ma ciò che rappresentava: un generale fallimento da parte dei governi occidentali di rispettare la vitale importanza di questa potenza nucleare (la Russia – ndr) per l’ordine mondiale. Prima dell’espansione della Nato le nostre due nazioni erano sulla buona strada per lo sviluppo di una relazione che sarebbe potuta risultare in un vero partenariato globale».

Le conseguenze degli errori di trent’anni fa sono sotto i nostri occhi, scrive Perry: «L’amarezza nata dalla consapevolezza che la Russia veniva considerata irrilevante ha creato un clima maturo per l’ascesa di un leader autocratico che avrebbe invece chiesto rispetto e potere attraverso la forza. E non c’è forza più grande del possedere un arsenale nucleare in grado di provocare la fine dell’umanità».

Fonte: Rodolfo Casadei | Tempi.it

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