Sopra La Notizia

In memoria di Eugenio Borgna, il luminare che diceva: «L’inferno è essere soli»

Così il grande psichiatra morto ieri a 94 anni accusava in un’intervista a Tempi il «chiasso senza indicazioni né significati» che, «soprattutto nei media, corrode la condizione umana» rendendo le persone «sempre più deboli e attaccabili dalle malattie dell’anima»

È morto ieri a 94 anni Eugenio Borgna, grande psichiatra e scrittore a cui questo giornale deve molti giudizi di rara profondità e originalità (una parte dei quali si può trovare qui). Riproponiamo di seguito una intervista con lui firmata per Tempi da Marina Corradi nel 2004. Il dialogo prendeva le mosse da un intervento dell’allora cardinale arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra sulla possibilità di affermare una proposta educativa in una società che nega l’esistenza della verità.

La lezione del cardinale Caffarra sul nichilismo postmoderno pubblicata dal Foglio afferma che la negazione di una realtà oggettiva porta a «una malattia mortale dello spirito». Che «lo smarrimento della libertà nella pura scelta» conduce alla «tristezza del cuore». C’è un rapporto allora tra la difficoltà attuale di educare e la malinconia epidemica che il nostro tempo conosce come mai prima d’ora? Lo chiediamo a Eugenio Borgna, autorevole psichiatra e autore di numerosi saggi per Feltrinelli – nonché amico di antica data di Luigi Giussani.

Caffarra oppone l’Antico Testamento: «Non è bene che l’uomo sia solo» a Sartre: «L’inferno sono gli altri».

L’orizzonte della lezione di Caffarra è l’alleanza permanente con l’altro, uno dei grandi temi di Giussani in cui mi ritrovo da sempre: la realtà oggettiva sull’uomo è che non siamo monadi, ma ontologicamente aperti all’incontro. L’esigenza implacabile a vivere la nostra vita come orizzonte con l’altro si esprime anche in esigenza di incontro di qualcosa che sta al di là della nostra vita, con Dio, come premessa essenziale perché la vita abbia un significato, perché non si fermi all’hic et nunc , perché si esprima in una trascendenza. Ogni forma educativa che invece si limiti a esposizione fredda e neutrale di tesi contrapposte, senza che si indichi quale di queste tesi abbia in sé un significato che oltrepassi i confini del nostro io e ci metta in contatto con ciò che dà senso, e riscatta la sofferenza e il dolore, finisce con fare una scelta in realtà nichilista.

«Mai come oggi l’ambiente, inteso come clima mentale e modo di vita, ha avuto a disposizione strumenti di così dispotica invasione delle coscienze», scrive Giussani, citato da Caffarra.

Questa citazione mi sembra cogliere fino in fondo quanto accade oggi. È vero che il diseducatore sovrano è l’ambiente, con stimoli che esorbitano completamente da un progetto sull’uomo e sulla vita, che nascono dalle parti più estreme e lontane, destituite di quella dimensione profonda che può venire soltanto dalla ricerca dei significati. A questo proposito però vorrei segnalare che quando Nietzsche afferma: «Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni di fatti», può essere letto, certamente, nel senso di “non esistono significati perenni”, cioè in chiave nichilista. Tuttavia, c’è un’altra lettura possibile, quella psicologica, che mi pare meglio concordare con il pensiero nietzschiano: ogni fatto è un prisma di significati. Il che induce a cogliere la precarietà di ogni esteriorità, e invece la radicale dimensione umana e religiosa che in quei fatti è contenuta.

Ma cosa opera esattamente questo ambiente “sovranamente diseducatore”?

Il delirio cui assistiamo oggi è l’invasione delle coscienze, coscienze che si fanno sempre più fragili e squilibrate affettivamente. L’invasione da parte di voci che parlano da ogni direzione senza che indichino i fondamenti spirituali da cui sorgono, ammesso che abbiano dei fondamenti spirituali. Un chiasso senza indicazioni né significati, soprattutto nei mezzi di comunicazione, corrode la condizione umana che si fa sempre più debole, sempre più attaccabile dalle malattie dell’anima.

Viene in mente, circa il frastuono che lei descrive, un verso di Eliot: «Mille vigili che dirigono il traffico non dicono in che direzione andare». Ma come si manifesta la malattia dell’anima?

Con la perdita o la compromissione delle scelte autonome, della capacità di riconoscere il male e di realizzare il bene, perché in ogni condizione umana, ma ancor più in quella depressiva, siamo aperti alle influenze esterne più insidiose e incontrollabili.

Come una casa non custodita?

Anche. La malattia dello spirito per Kierkegaard è la perdita della possibilità di scegliere liberamente i sentieri dinanzi a noi. In questa fragilità in cui siamo immersi le voci che gridano di più sono quelle che tendono a invadere la coscienza, che inferiscono il tema radicale e bruciante della scelta fra bene e male, in una prospettiva non libera ma dipendente da pseudo valori imposti dall’esterno, determinando così l’indifferenza ai valori autentici.

Caffarra: lo smarrimento della libertà nella pura scelta genera una «tristezza del cuore».

Pascal dice che noi viviamo, ma soprattutto speriamo di vivere. Senza questa speranza, bruciata nella “pura scelta”, precipitiamo nel gorgo di una tristezza senza fine. Senza un progetto ci ancoriamo al passato, che ci logora e ci sprofonda nella malinconia. Se oggi una persona su quattro in Occidente nell’arco della sua vita soffre di depressione, ed è un fenomeno di una portata mai vista in precedenza, pare evidente che siamo di fronte al contraccolpo massiccio di domande di senso negate, e che tuttavia, tenaci, rimangono nel cuore degli uomini, e sotto altra forma si manifestano. Le domande originarie sopravvivono sempre: il senso del vivere, della speranza, del soffrire. Ma ciascuno esprime, come può, scelte individuali, staccate dall’altro. Certo, Kant ha cercato disperatamente di fondare un’etica senza Dio, anche se è un’etica che si frantuma da ogni parte. Da queste scelte individuali che non riescono a tenerci insieme, il passo ulteriore è lo svuotamento di sé, la radicale indifferenza ai valori considerati tutti uguali, che sfocia nella tanto declamata “tolleranza”. Questo tipo di “tolleranza” è in realtà il vero tumore della vita psichica. Si può aprire un dialogo anche con chi è divorato dalla passione, dal conflitto, dal desiderio di morire; non con chi si acquieta in questa “tolleranza”, che corrisponde alla perdita di ogni reale partecipazione vissuta all’esistenza.

La tolleranza è l’indifferenza?

È la stessa cosa: ciascuno per sé, passivizzazione totale, resa incondizionata all’influenza dell’ambiente dentro di noi .

Caffarra: il tempo non è più storia, il “kairos” si è corrotto.

Agostino, come Pascal, testimonia la possibilità di vivere nella dimensione di un tempo, in cui l’oggi si allea con lo ieri e la storia continua senza mai spezzarsi. Nella modernità invece il tempo pare come diventato un tempo “cattivo”, un tempo incenerito, persa la memoria del passato e il presentimento del futuro. È un tempo sviluppato in una scia di impulsi e non in una distesa diacronica, aperta alla speranza. È “l’attimo fuggente”, e dunque un tempo nichilista: epifania di istanti cui viene dato un senso assoluto. In fondo, anche nel Pascal citato da Caffarra c’è un momento di sgomento, quando Pascal scrive: «Inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che m’ignorano, mi spavento…». Tuttavia Pascal si riprende da questo sgomento, l’istante nichilista non prevale. Educare, rieducare a un senso del tempo buono è anche questo, è insegnare a non dare senso solo all’istante, ad andare ben oltre l’istante.

Di fronte all’analisi del cardinale, che pure sembra duramente realista, viene da chiedersi da dove ripartire. E, certo, ci diciamo, da una faccia, da un volere bene. Ma che cosa indicare a quel figlio che ti guarda in faccia? Caffarra cita Gregorio da Nissa: «Solo lo stupore conosce». Ma, come si trasmette lo stupore?

Credo che il più grande degli stupori, come scrive Schopenhauer, sia nello scoprirsi in relazione con l’altro, nell’essere capaci di soffrire con l’altro – in contraddizione assoluta col proprio impulso istintivo di dominio e sopraffazione. Solo essendo testimoni di questo “essere con l’altro” si trasmette il più grande e autentico stupore a chi ci è accanto. Con una testimonianza, dunque, che non è parola: perché quanto a parlare, parliamo anche troppo, mentre è l’“essere” che feconda davvero. La struttura portante dell’educazione dunque, ciò che davvero sconfigge il nichilismo nella sua dimensione di negazione di senso e di individualismo assoluto, è la partecipazione al destino dell’altro, la confluenza nel cammino sfolgorante di quanti si sono messi autenticamente in relazione con il prossimo. Perché è talmente vero che l’uomo aborre la solitudine, che un grande psichiatra tedesco ha scritto che perfino i fantasmi del delirio sono preferibili al ritrovarsi lucidi, e soli. Perché la verità più profonda sull’uomo è davvero scritta in quella frase dell’Antico Testamento: «Non è bene che l’uomo sia solo».

Fonte: Marina Corradi | Tempi.it

Newsletter

Ogni giorno riceverai i nuovi articoli del nostro sito comodamente sulla tua posta elettronica.

Contatti

Sopra la Notizia

Tele Liguria Sud

Piazzale Giovanni XXIII
19121 La Spezia
info@sopralanotizia.it

Powered by


EL Informatica & Multimedia