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Mistero Edith Stein: sopravvisse un anno in più?

Nuovi documenti ipotizzano la sopravvivenza della santa ad Auschwitz fino al 1943 e perfino un incontro con Etty Hillesum. Però la questione resta aperta

Ipotizzare una data diversa della morte di un filosofo o una filosofa potrebbe sembrare, di primo acchito, ininfluente sul corso del suo cammino di pensiero. Eppure così non è. Già solo adottando una visione storicista questo dubbio caracollerebbe. Ma franerebbe del tutto se nella ricerca del filosofo o della filosofa vita quotidiana e teoresi si intrecciassero in maniera inestricabile. E quanto conterebbe, invece, un decesso anticipato o posticipato, quando esistenza, ricerca filosofica e cammino spirituale fossero sposati in maniera indissolubile? Soprattutto se questo matrimonio d’eccellenza fosse avvenuto in un contesto storico drammatico! A incarnare il triplice intreccio di vita vissuta, percorso teoretico e itinerario spirituale è Edith Stein, proclamata santa Teresa Benedetta della Croce nel 1998 da Giovanni Paolo II e l’anno successivo patrona d’Europa a fianco di santa Caterina da Siena e santa Brigida di Svezia. A rivelare un possibile differimento della scomparsa della filosofa imprigionata nel campo di concentramento di Auschwitz è l’ultimo numero della rivista Humanitas. Il corposo volume intitolato Edith Stein. Teresa benedetta della Croce (1891-1943). Dottore della Chiesa (pp. 460, euro 38,00), messo in cantiere dall’editore Morcelliana e coordinato da padre Francesco Alfieri, docente alla storica Università di Friburgo, esce in occasione della candidatura di Santa Teresa Benedetta della Croce a Dottore della Chiesa. Candidatura avanzata in Vaticano dalla Curia Generale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi lo scorso 18 aprile.

Al cuore del titolo di Doctor Ecclesiae c’è il riconoscimento, nel pensiero di un autore, della presenza di un’“eminente dottrina” che arricchisca il patrimonio teologico della Chiesa. Ebbene questa petizione è un’ulteriore prova del fatto che Edith Stein è stata uno dei grandi pensatori (il genere maschile è voluto) del Novecento, checché ne possano pensare alcune anime belle, intimidite dalla sua santità. Sminuire la portata del suo pensiero, ignorarlo o ridurlo a una banale “filosofia al femminile” significa misconoscerne la reale portata. Capace di unire i frutti dei suoi studi fenomenologici, da allieva tra le più fedeli al magistero di Edmund Husserl, con lo studio di Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino e Duns Scoto, Edith Stein è riuscita a realizzare una «fondazione dell’antropologia – scrive Alfieri nell’introduzione – in continuo dialogo con la teologia». Essere finito e Essere eterno si aprono, così, l’uno all’altro consentendo un fruttuoso incontro di antropologia e teologia. Quest’ultime, in qualche maniera, esprimono, nel pensiero di Stein, al meglio l’idea di concinnitas, tanto cara a Cicerone e Leon Battista Alberti. Antropologia e teologia, in Stein, infatti, cum-canunt, cantano insieme. Ed esprimono, nella loro sinfonia, la tensione che abita la struttura della persona umana, da sempre incastonata all’interno di una comunità/comunione di relazioni, aprendola all’Essere eterno.

Alla definizione di questo intreccio tra antropologia e teologia, che riconosce la centralità dei legami e delle relazioni e il primato dell’apertura nella persona verso gli esseri finiti e verso l’Essere infinito, concorrono i contributi dei maggiori esperti del pensiero di Edith Stein convocati, per il recente numero di Humanitas, dal curatore. John Sullivan, responsabile dell’edizione in lingua inglese delle opere della filosofa, Christof Betschart, Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, autrice di un’ottima biografia, Michael Andrews, Bénédicte Bouillot, con il suo splendido intervento e, tra gli italiani, Laura Boella e Vincenzo Costa, passo dopo passo, con un movimento concentrico, interrogano il pensiero di Edith Stein e ne sondano i diversi aspetti. Dall’indagine condotta, muovendosi dall’antropologica alla teologia, dalla pedagogia all’ontologia sociale, dagli scritti biografici a quelli metafisici, gli autori fanno emergere l’“eminente dottrina” espressa nel pensiero di Edith Stein. Eminente dottrina che, secondo Alfieri, intarsia tutti i suoi scritti, dalla celebre dissertazione del 1916, Il problema dell’empatia, al maturo Essere finito e essere eterno. Le sue opere «sono tutte orientate – precisa il curatore del volume – a indagare la struttura dell’essere umano, i suoi vissuti e il modo in cui questo si struttura in una “comunità” nel tentativo, da parte della Stein, di fondare un’antropologia in dialogo con la teologia». Ma c’è un ulteriore aspetto che i saggi contenuti nel volume inseguono e che Alfieri rende esplicito nell’introduzione. «Le vicende esistenziali della Stein – osserva – sono le uniche a illuminare e orientare le sue ricerche». Ricerche che, come s’è detto all’inizio, combinano, in un gioco armonioso ma combattuto, vita vissuta, riflessione filosofica e cammino spirituale. Ecco perché la rivelazione, comparsa nel saggio di Rainer Schmidt, che la morte ad Auschwitz-Birkenau della filosofa e santa sarebbe avvenuta non il 9 agosto del 1942, ma esattamente un anno dopo, il 9 agosto del 1943, potrebbe modificare le attuali linee interpretative della vita di Stein.Lavorando negli archivi olandesi del International Tracing Service di Arolsen e sui registri dei decessi dell’ufficio di stato civile di Auschwitz, lo studioso tedesco avrebbe rintracciato, a seguito di minuziosi approfondimenti documentali, delle incongruenze e dei probabili errori di trascrizione che poi vennero ripresi dalla prima biografa della santa e da lì replicati nei successivi lavori. Se la ricerca d’archivio ha fatto emergere dei dubbi nella ricostruzione storica, ulteriori dettagli potrebbero arrivare dal Diario di Etty Hillesum, come ricorda Alfieri nell’introduzione. Infatti, la scrittrice olandese riporta nelle sue pagine, sotto la data del 20 settembre 1942, e quindi più di un mese dopo la data presunta della morte di Santa Teresa Benedetta della Croce un episodio accadutole. Quella domenica mattina avrebbe incontrato “due suore” (sic!), provenienti da una ricca famiglia ebrea e originarie di Breslau, che si spingevano, con i ricordi, fin agli anni dell’infanzia. Le due donne, secondo Jan G. Gaarlandt, curatore ed editore del volume di Hillesum, sarebbero identificabili con Edith e la sorella Rosa, che però suora non era ma solo ospite del Carmelo di Echt. Emergerebbero però delle incongruenze tra le date perché Hillesum, in quel periodo, non si trovava ad Auschwitz e nemmeno era di servizio presso il Campo di transito di Westerbork ma ad Amsterdam. Pertanto, riprendendo le parole di Rainer Schmidt a conclusione del lavoro possiamo dire che «la questione bruciante sulla data precisa e il modo esatto [della morte di Stein, ndr], al momento attuale non può essere risolta».

Fonte: Simone Paliaga | Avvenire.it

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