C’è un muro che non si riesce ad abbattere: ed è quello che impedisce, in Italia, alle famiglie di esercitare fino in fondo il loro diritto ad educare liberamente i propri figli. E pensare che la nostra Costituzione, notoriamente la più bella del mondo, è molto chiara in proposito. L’articolo 30 conferisce proprio ai genitori, e solo a loro, il diritto ad educare ed istruire i figli. Dico solo a loro non a caso: tale diritto non viene attribuito a nessun altro: non allo Stato, non alle Regioni, non alle Province, non ai Comuni: le istituzioni hanno il dovere di assicurare le strutture ed i mezzi perché le famiglie possano esercitare il loro diritto, ma non sono titolari di tale diritto, che si attribuiscono arbitrariamente solo gli Stati totalitari (comunisti o fascisti che essi siano). Cambiano i governi, cambia “l’aria” anche culturale che si respira, ma questo muro non riesce ad essere abbattuto. Nessuno, dico nessuno, cita mai l’articolo 30 della Costituzione, neppure gli aedi quotidiani della nostra legge fondamentale, che ogni giorno ci illustrano la sacralità di tale testo. Mai si sente dire che il diritto all’educazione è della famiglia, anche se tutte le solenni dichiarazioni relative ai diritti umani confermano l’esistenza di tale diritto, riconosciuto, ripeto, sia a livello universale (ONU, 1948), sia a livello europeo. In Italia, questo fondamentale diritto umano viene messo da tutti sotto un pesante silenzio: sembra prevalere, in tutte le forze politiche e culturali, una concezione statalista e centralista che impedisce di guardare in faccia alla realtà. Tutto ciò appare ancora più grave ed ingiusto in un’epoca in cui non si fa che parlare di “diritti” che devono essere riconosciuti dalle leggi. Tutti i diritti, tranne quello fondamentale di educare liberamente.
La famiglia
Si deve dare atto che, anche grazie ai suggerimenti della rete “Ditelo sui tetti” coordinata magistralmente da Domenico Menorello, l’attuale governo ha avuto finalmente una inusuale attenzione verso le esigenze della famiglia (in Italia, almeno finora, ce ne è una sola). Nella legge di bilancio è stata sostenuta la funzione generativa della famiglia, con misure che dovrebbero combattere la tendenza alla denatalità, uno degli aspetti più allarmanti della attuale situazione dell’intera società. La legge finanziaria ha anche previsto misure positive nei confronti della funzione “assistenziale” della famiglia, con sostegni agli aspetti più fragili dei vari componenti della famiglia. Quindi, sono da giudicare positivamente le misure assunte nei confronti dei compiti generativi e assistenziali della famiglia. Ma, ancora una volta, dobbiamo prendere atto che il governo non ha avuto il coraggio di affrontare decisamente il sostegno da dare all’altro compito/diritto della famiglia, che è quello di educare ed istruire i figli: compito e diritto che devono essere esercitati anche nel momento scolastico del percorso dei propri figli, nel rispetto, naturalmente, delle reciproche funzioni della famiglia e della scuola.
Buono scuola
Su questo punto, il governo, forse per paura di affrontare la polemica con le opposizioni (fortemente antidemocratiche su questo tema), non ha avuto, ripeto, il coraggio di operare una svolta storica nel rispetto completo dell’articolo 30 della Costituzione. Ha previsto un piccolo ampliamento della spese scolastiche da dedurre, ha previsto un lodevole sostegno agli studenti disabili anche nelle scuole paritarie, ha previsto misure positive riguardo agli asili nido, ma non è riuscito a sostenere la famiglia nel momento in cui essa deve scegliere quale tipo di scuola far frequentare ai propri figli, perdendo la grande occasione di far passare a livello nazionale il principio del “buono scuola”, strumento che avrebbe permesso alla famiglia di attuare in libertà il proprio diritto all’educazione. Un “buono scuola” da spendere in qualunque tipo di scuola pubblica (anche la paritaria è una scuola “pubblica”) poteva essere uno strumento efficace per dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 30. Non c’è stato il coraggio di fare un passo storico decisivo. Peccato. Veramente peccato!
Questo governo ha ancora il tempo, in questa legislatura, per rimediare all’errore fatto: tempo per approfondire culturalmente il significato dell’articolo 30 della Costituzione e tempo per prevedere da subito un percorso che possa portare alla rivoluzione qui auspicata nella prossima legge finanziaria. E non si dica che non ci sono i soldi: per gli obiettivi veramente scelti e voluti i soldi si trovano sempre. Si sono trovati i soldi per caricare la scuola di un altro compito che dovrebbe essere della famiglia e che consiste nell’educazione sessuale. Ma quando si pone il tema della libertà di educazione della famiglia i soldi non ci sono mai. C’è anche tempo, in questa legislatura, per portare a termine la revisione dei rapporti che devono essere messi in atto tra scuola e famiglia, in modo che caschino i reciproci preconcetti, i quali, anch’essi, non tengono conto di quanto previsto dall’articolo 30: rapporti che devono essere rivisti in tutte le scuole pubbliche, siano esse statali o paritarie.
L’articolo 30, senza paraocchi
Viene da chiedersi perché sia così difficile risolvere un problema che, in teoria, sembrerebbe così semplice (basterebbe leggere senza paraocchi l’articolo 30). Vorrei accennare ad alcune di queste ragioni. La prima consiste nel fatto che ha vinto, storicamente, la cultura illuminista, la quale non ha mai superato una delle sue grandi contraddizioni che è quella di sostenere la libertà di pensiero e, nel contempo, di essere assolutamente statalista quando si parla di educazione, contraddizione all’origine della sua esperienza, quando parlava di libertà, ma con il metodo efferato della ghigliottina. Sui temi qui affrontati, tale cultura parla di libertà, ma poi delega solo allo Stato centralista il diritto sostanziale all’educazione, eliminando la possibilità di ogni altra espressione, soprattutto di quella religiosa. Questa cultura si è trovata d’accordo con le concezioni stataliste comuniste e fasciste e ne ha fatto le spese proprio la famiglia. E purtroppo anche tante famiglie non si sono neppure accorte di essere state spogliate di uno dei loro fondamentali diritti: purtroppo anche tante famiglie pensano, oramai, che il diritto all’educazione spetti allo Stato. Madornale! In Italia, poi, questa cultura antilibertaria ha trovato una sponda molto efficace in un pensiero anticattolico molto diffuso e militante.
E i cattolici?
Ma anche il cosiddetto mondo cattolico non mi sembra esente da colpe: la colpa principale è quella di non presentarsi unito di fronte alle istituzioni che dovrebbero decidere. Infatti, le scuole cattoliche (soprattutto le grandi), per lo più, chiedono finanziamenti diretti alle scuole stesse, con risultati vicini alla vergogna se si pensa che sono passati quasi 80 anni dalla proclamazione della Costituzione. Altri, invece, chiedono l’applicazione dell’articolo 30 della Costituzione. Le due cose non sono da contrapporre, ma da unire. Le scuole paritarie e cattoliche in particolare devono capire che il “buono scuola” non farebbe che creare nuovi “clienti” per loro e quindi dovrebbero vederlo con favore. Oppure si accontentano di essere diventate le scuole dei ricchi? Infatti, il cattolico “povero” non può iscrivere i figli ad una scuola “cattolica”, viste le rette. D’altra parte, è anche ragionevole chiedere aiuti diretti per affrontare alcune emergenze. Ed allora, perché dividersi? Purtroppo, i cattolici sono divisi, contro l’invito di Gesù, anche su troppi altri temi.
Detto tutto questo, non rimane che continuare una battaglia di libertà, senza la quale prevarrà una cultura totalitaria, di cui le famiglie saranno le prime vittime. Tutte le associazioni che hanno a tema la famiglia dovrebbero unirsi in questa lotta.
Ci sarebbe, poi, un altro tema, che, data la sua vastità, merita un altro specifico intervento: una volta ipoteticamente vinta la battaglia della libertà, troveremo ancora scuole veramente “cattoliche” a cui iscrivere i nostri figli e nipoti?
Fonte: Peppino Zola | Tempi.it