Il cinema, in quanto espressione artistica, non si limita a rappresentare la realtà: ha la capacità di riflettere profondamente sulle dinamiche umane più intime e complesse. Francesca Comencini, figlia del celebre regista Luigi Comencini, nel suo film Il tempo che ci vuole ci conduce in un viaggio autobiografico che esplora il rapporto tra padre e figlia, la memoria cinematografica e il passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Negli anni di piombo, segnati da intense tensioni politiche e sociali, un padre e una figlia sono accomunati dall’amore per il cinema. Il padre, Luigi Comencini, è un noto regista cinematografico e televisivo, mentre la figlia, Francesca, è la sua terzogenita, che attraversa un periodo difficile di tossicodipendenza. Consapevole della situazione della figlia, il padre decide di portarla a Parigi per starle vicino e sostenerla nel percorso di disintossicazione, affidandosi esclusivamente alla forza dell’affetto per aiutarla a superare la crisi.
Una volta che Francesca riesce a liberarsi dalla dipendenza, inizia a lavorare con suo padre e decide di intraprendere a sua volta la carriera di regista. Annuncia al padre che il suo primo film tratterà delle sue esperienze legate alla tossicodipendenza. Luigi, tuttavia, non approva questa scelta, né l’approccio autobiografico comune a molti giovani registi, e pur augurandole il meglio, dichiara che non andrà a vedere il film. Alla fine, però, si lascia emozionare vedendo Francesca in televisione mentre ritira il premio per la sua opera prima.
1. L’Autobiografia come Narrazione Universale
Francesca Comencini utilizza la propria esperienza personale come strumento narrativo, ma lo fa in modo tale da rendere il particolare universale. La figura del padre, Luigi Comencini, viene rappresentata non solo come genitore, ma anche come una figura mitica, simbolo dell’autorità e della protezione. La figlia, invece, si trova in una condizione di vulnerabilità e incertezza, tipica della fase adolescenziale.
Da un punto di vista filosofico, il film può essere letto attraverso la lente della fenomenologia: il rapporto tra padre e figlia, mediato dal cinema, si trasforma in un’esperienza vissuta che sfugge alle categorie convenzionali del tempo. La dimensione temporale diventa “il tempo che ci vuole”, una durata soggettiva in cui il legame affettivo evolve e si rafforza.
2. Il Cinema come Cura e Catarsi
Il cinema nel film di Comencini non è solo uno sfondo, ma assume una funzione terapeutica. La figura del padre, interpretata da Luigi Comencini stesso attraverso la memoria, salva la figlia portandola in un viaggio che la riavvicina al cinema e alla propria identità. Questo processo di cura paterna può essere interpretato in chiave giuridica come un atto di tutela e protezione.
Nel diritto familiare, il ruolo del genitore è non solo quello di proteggere fisicamente i figli, ma anche di guidarli nel percorso di sviluppo della loro personalità e identità. Il viaggio a Parigi, metafora di una fuga dal mondo esterno per trovare sé stessi, richiama il concetto di patria potestà, ma lo supera introducendo una dimensione affettiva e spirituale, in cui l’amore paterno diventa l’elemento chiave per la salvezza.
3. La Dialettica tra Libertà e Protezione
La tensione tra la libertà della figlia e la protezione del padre è centrale nel film. All’inizio, la figlia percepisce l’amore paterno come una prigione, un legame che la costringe. Tuttavia, nel corso del tempo, si rende conto che tale legame è la sua salvezza. Qui, la riflessione giuridica si sofferma sull’equilibrio tra il diritto alla libertà individuale e il dovere di protezione da parte dei genitori.
Nel contesto della filosofia del diritto, questo tema può essere analizzato attraverso il concetto di “paternalismo giuridico”, ovvero l’intervento del genitore (o dello Stato) per il bene dell’individuo, anche contro la sua volontà. In questo caso, la protezione paterna non è imposta, ma viene accettata nel momento in cui la figlia riconosce la sua necessità.
4. La Memoria del Cinema come Patrimonio Culturale
Francesca Comencini, nel film, non rende omaggio solo alla memoria del padre, ma anche a quella del cinema stesso. Le immagini dei vecchi film provenienti dalla Cineteca Italiana di Milano, che Luigi Comencini ha contribuito a fondare, rappresentano non solo un retaggio familiare, ma anche un patrimonio culturale collettivo.
Dal punto di vista giuridico, la preservazione di questi film può essere vista come un atto di tutela del patrimonio culturale. La legge riconosce l’importanza della conservazione dei beni culturali e la Cineteca Italiana svolge un ruolo fondamentale nella protezione di opere che rappresentano la memoria storica e artistica del paese.
Conclusione
Il tempo che ci vuole è un film che esplora le complessità delle relazioni familiari attraverso una lente personale e universale. Francesca Comencini riesce a trasformare il proprio dramma familiare in un’opera cinematografica che invita lo spettatore a riflettere sul potere salvifico dell’amore, sulla complessità del rapporto genitore-figlio e sul ruolo del cinema come strumento di memoria e cura.
Fonte: Daniele Onori | CentroStudiLivatino.com
Bibliografia
- Comencini, Francesca. Il tempo che ci vuole. Italia, 2020.
- Comencini, Luigi. Le avventure di Pinocchio. Italia, 1972.
- Sartre, Jean-Paul. L’essere e il nulla. Milano: Il Saggiatore, 2012.
- Derrida, Jacques. La scrittura e la differenza. Torino: Einaudi, 1994.
- Dworkin, Ronald. Taking Rights Seriously. Cambridge: Harvard University Press, 1978.
- Cicerone, Marco Tullio. De officiis. Milano: Rizzoli, 1996.
- Ferrajoli, Luigi. Diritto e ragione: Teoria del garantismo penale. Roma-Bari: Laterza, 2009.
- Honneth, Axel. Il riconoscimento: Storia di un’idea europea. Firenze: Le Monnier, 2020.