Nel dare tutto te stesso c’è la cura dell’altro, di cui accennava all’inizio?
È la cura della relazione che oggi deve essere messa al centro. Significa mantenere uno spazio proprio come coppia, significa guardare l’altro non come un competitor di se stessi, ma cercando di mettersi nei suoi panni, avendo un’attenzione per i suoi desideri, i suoi bisogni, le sue difficoltà. Ad esempio, ognuno ha come risorsa il patrimonio dato dalla famiglia d’origine, che però può presentare anche asperità da “bonificare”. Il coniuge può ingaggiare una battaglia contro la famiglia di origine o può aiutare l’altro a smussare un rapporto infelice, aiutandolo a capire quello che è avvenuto di negativo, e allo stesso tempo recuperando il positivo. È un modo di amare l’altro riconoscendo la sua storia. La cura passa dentro la quotidianità delle piccole cose: banalmente, cucinare il piatto preferito, regalare un mazzo di fiori, fino al partecipare ai problemi lavorativi e condividere le responsabilità educative. Gesti che da una parte non fanno cadere nella routine, e dall’altra generano una ricchezza a volte inaspettata.
È quanto accaduto a lei con la scoperta della pittura di Congdon?
Sì, non solo Congdon, più in generale l’arte. Attraverso mio marito, che era un medico, ho anche potuto comprendere il mondo degli ammalati. Ogni brandello di realtà diventa così una scoperta attraente.
Dentro questa modalità di relazione che importanza ha il perdono?
Fondamentale. In Una rivoluzione di sé Giussani dice: «Noi siamo così duri, così coriacei verso gli altri. Siamo così impermeabili, inaccoglienti, inospitali, perché siamo inospitali verso noi stessi. I tipi che sembrano più decisi, i tipi che sembrano più spavaldi, spessissimo sono psicologicamente fuori di loro stessi, perché hanno paura di loro stessi o, meglio ancora, non perdonano a se stessi». C’è sempre uno scarto tra le aspettative che il soggetto ha su di sé e sull’altro, e la loro realizzazione. Il perdono è la posizione di umiltà che ti fa accettare in primis te stesso e poi l’altro, perché viene tolta la dimensione della pretesa. In questo io vedo la grandezza della misteriosità della relazione: è un’avventura di comprensione affettiva che dura tutta la vita. Oggi purtroppo ogni cosa deve essere programmata per il raggiungimento di uno standard predefinito, di lavoro, di bellezza, eccetera. Che – ci mancherebbe! – in parte ci deve essere, ma il bello è anche il rischio, dare spazio all’imprevisto. Sia nel rapporto coniugale, sia con i figli. A proposito di questi ultimi, vedo un altro pericolo.