Dopo la morte improvvisa del regnante, coloro che sono deputati ad eleggere il successore, giungono da tutto il mondo per riunirsi, isolati dal mondo, e stabilire chi tra loro prenderà il posto del defunto. Da conquistare c’è il regno più antico della storia e il dominio più vasto del pianeta: in gioco ci sono il potere, il prestigio e una missione oscura da compiere che un enigmatico spirito dovrebbe guidare. L’elezione è secondo un rituale antichissimo e segreto ma la complessità del mondo bussa (o meglio esplode) alle finestre dì questa complessa ed oligarchica elezione, cercando di imporre i propri temi e tempi. Un’elezione in cui i colpi di scena non mancano, d’altronde il cuore degli uomini (maschi, e non solo, in questo caso) diviene di pietra e feroce quando si lotta per il potere.
Si perdoni l’estrema sintesi ma questa è la trama di Conclave, film di Edward Berger in programmazione in Italia per le feste natalizie.
Poco importa poi se questo processo porterà all’elezione del Papa della Chiesa cattolica o del monarca di un regno fantasy ambientato ai giorni nostri.
Non è la prima volta che il cinema (e la letteratura, il film è tratto dal romanzo omonimo di Robert Harris) sono attratti dai suggestivi riti e segreti dell’elezione di un pontefice. In molti si sono misurati, con esiti differenti: tanti per piegare la realtà al proprio spettacolo (come in questo caso) pochissimi per cercare di comprenderne un aspetto, anche parziale (Habemus papam di Nanni Moretti, ad esempio).
Edward Berger, abile nelle serie televisive, sa fare ottimo cinema (i tre Oscar per “Niente di nuovo sul fronte Occidentale” lo testimoniano) e in questo lavoro arricchisce il linguaggio con molto teatro, per presentare con veloci pennellate sul palcoscenico di Santa Marta e della Cappella Sistina (ricostruita grandiosamente dalle maestranze di Cinecittà) i contendenti al soglio pontificio e i vari king maker.
Se Oscar sarà per questo quinto suo lungometraggio verrà per uno dei componenti di un cast notevolissimo: Ralph Fiennes, Stanley Tucci, John Lithgow, Isabella Rossellini. Notevoli anche le interpretazioni di altri due italiani, Sergio Castellitto e – per una piccola ma intensa parte – Roberto Citran.
La regia è salda, veloce e capace di animare oltremodo la potenziale staticità di una riunione permanentemente sedentaria di maschi non più giovani, grazie ai movimenti di macchina, i particolari architettonici, i primi piani veloci degli elettori composti con i campi lunghi dei chiostri o dei costringenti corridoi.
Suggestive anche le citazioni, come il “vento” dello spirito che – come nei funerali di Giovanni Paolo II – scuote gli elettori riuniti nella Cappella Sistina o – quando il dramma della storia esplode addosso ai cardinali elettori – la visualizzazione dell’opera La nona ora di Maurizio Cattelan.
Superba la fotografia nell’amplificare la tensione narrativa con i contrasti tra le tinte fosche degli interni di Santa Marta e il rosso porpora dei cardinali; la luce splendente che sta “fuori”, con il buio soffocante “dentro” (scelte che da sole dicono il pregiudizio che anima il racconto).
Notevole, al punto da desiderarne un ascolto integrale ed autonomo, la colonna sonora originale di Volker Bertelmann.
Risparmiamo maggiori dettagli di trama e dei ruoli dei personaggi, e non solo per evitare lo spoiler: basta versare sulla base, più o meno nota, del procedimento dell’elezione di un papa una buona dose di luoghi comuni sulla Chiesa divisa (tra progressisti e conservatori), una manciata di lotte intestine, una guarnizione di segreti indicibili, il tutto condito dal politicamente corretto e da una spolverata di questioni prese dalla galassia woke. Ed ecco, il piatto è pronto.
Un piatto piacevole, godibile, non c’è che dire, stiamo parlando di un film realizzato con maestria (una produzione internazionale girata totalmente in Italia) ma come capita per certi dolci, l’eccesso di panna e zucchero alla fine stancano e soprattutto ben poco lasciano impresso al palato, neutralizzando il gusto di ciò che autenticamente vale (e di sostanza artistica e tecnica ce n’è in questo film).
Il desiderio di mostrare che quella raccontata nel film è la realtà delle cose (e non una libera invenzione, fosse anche sull’ipotetica elezione di un fantomatico papa) è evidente nella scelta della fedeltà nel ricostruire gli ambienti, gli abiti dei cardinali, nel proporre formule e riti del conclave. Una fedeltà (a volte goffamente zoppicante, tipo quando i cardinali tra loro si chiamano “collega” come dei tranvieri al bar, ma non sottilizziamo troppo) che vuole instillare nello spettatore l’impressione di essere condotti in modo esclusivo laddove nessuno può entrare per rendersi poi conto del lato oscuro e peccaminoso della chiesa, proprio nel luogo in cui decide di se stessa.
Non impressionino l’aulicità di alcuni dialoghi che sembrano voler consegnare alla chiesa e ai credenti delle suggestive verità che – basta una seconda visione – di evangelico in realtà hanno ben poco. Purtroppo è drammaticamente vero, come “Conclave” mostra, che i peccati nella chiesa e negli uomini di chiesa non mancano e non sono nemmeno una rarità.
Ma non è in questo “mostrare” il limite del film. Il cinema è libero di inventare e raccontare le storie che vuole, di stigmatizzare difetti ed errori, di denunciare la non corrispondenza tra gli ideali e la pratica anche a proposito della Chiesa e del sacro: è un principio che va sempre riconosciuto e affermato. Così come occorre riconoscere e affermare che quando si utilizzano in maniera preponderante gli elementi della realtà non è corretto usarne solo limiti e difetti per articolarne il racconto, stravolgendo nelle conclusioni quegli elementi di realtà: l’ucronia o la distopia – nel caso di Conclave – sono altro.
Fonte: *Davide Milani | FamigliaCristiana.it
*Davide Milani è direttore della Rivista del Cinematografo e presidente della Fondazione Ente per lo spettacolo