Alan Piper, studioso del benessere all’Università di Leeds: “Per ritrovare la serenità dopo la crisi di mezza età andare oltre i condizionamenti dell’infanzia e le pressioni della vita adulta”
Il secondo periodo della vita, dopo i cinquantacinque anni, come un’opportunità unica di felicità, se siamo in grado di lasciarci alle spalle i condizionamenti dell’infanzia e le pressioni sociali che l’ingresso nel mondo del lavoro comporta. E se riusciamo a vincere la sfida di quella crisi di mezza età, sempre in agguato, che ha radici biologiche e che è stata documentata da tanti studi in tanti Paesi. Un’impresa che è possibile soltanto grazie a un lavoro personale, e che è indispensabile per la sopravvivenza della nostra specie e della nostra società. A questo tema ha dedicato diversi articoli accademici il professor Alan Piper, esperto dei rapporti tra benessere e vecchiaia, e docente nella facoltà di Economia dell’Università di Leeds, nel centro di Inghiterra.
«Ormai da vent’anni gli esperti hanno dimostrato che esiste una curva a forma di U, nel corso della vita degli esseri umani, che sono pieni di energia e di voglia di vivere e di ottimismo, quando sono giovani, verso i diciotto anni, e poi, progressivamente, perdono questa vitalità. Tra i quarantacinque e i cinquantacinque anni si sperimenta spesso un momento di crisi, una linea orizzontale, nella U, che segnala un periodo di difficoltà. Dopo questa età il benessere ricomincia a risalire e raggiunge un nuovo apice, paragonabile a quello che viviamo durante la giovinezza. Una nuova serenità che dura fino ai settant’anni almeno e, spesso, anche oltre. Gli esperti tendono a non studiare gli ultimissimi anni di vita, quando il decadimento fisico e la morte di tanti amici rendono più complicato, per le persone, essere davvero felici», spiega il professor Piper. «Questo percorso ha radici biologiche – continua l’esperto –. È stato, infatti, dimostrato che anche le scimmie vivono la curva a U e rischiano di ammalarsi a metà della vita. Esistono eccezioni e variazioni a seconda dei Paesi. Per esempio, verso i trent’anni, chi si sposa sperimenta un’impennata di felicità. E, nel Regno Unito, l’aumento di benessere, tra i 45 e i 70 anni, sembra verificarsi in modo più rapido che in altri posti».
Quanto alle ragioni per le quali la vita umana si svolge in questo modo dobbiamo ritrovarle nell’evoluzione della specie che garantisce la sopravvivenza della razza umana. «La società umana ha bisogno dell’ottimismo e dell’ambizione dei giovani che, maturando, diventano più pragmatici, fino a dare vita a una generazione di saggi in grado di trasmettere esperienza e conoscenza alle nuove generazioni», spiega Piper.
E di che cosa è fatta quella crisi che segna la metà del nostro cammino umano, come può essere evitata e come possiamo uscirne? «Nella prima metà della vita seguiamo gli obbiettivi del nostro ego che coincidono con quelli che la società, nella quale viviamo, ci propone. Il successo nella carriera, per esempio, o la sicurezza finanziaria. Una volta che abbiamo raggiunto queste mete, ci fermiamo per mettere un punto di domanda sulla nostra vita e chiederci che cosa ci rende davvero felici e dà significato a quello che facciamo. Insomma ricominciamo a vivere, partendo da un punto di vista più personale, e lasciandoci alle spalle sia i condizionamenti dell’infanzia che le pressioni della vita giovanile e adulta – spiega ancora il professor Piper –. Benchè la crisi di mezza età abbia radici biologiche, fattori emotivi come un buon matrimonio, l’appartenenza alla comunità nella quale viviamo, e un lavoro sicuro ci consentono di evitarla».
Anche l’atteggiamento che abbiamo nei confronti della vecchiaia conta molto. Se ci facciamo scoraggiare dal fatto che il corpo non riesce a fare quello che faceva in passato e interpretiamo questa realtà in modo negativo, il nostro umore ne risente, ma se ci concentriamo sul fatto che possiamo fare tante altre attività, che non erano possibili una volta, sperimentiamo una nuova felicità. Insomma è importante considerare l’ultima parte della vita come un dono ed essere consapevoli che non ci resta molto tempo e dobbiamo impegnarci in quello che conta davvero per noi».
Fonte: Silvia Guzzetti | Avvenire.it