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Figli a scuola. Ecco tutti i disastri dell’ipergenitore

Due esperti hanno esaminato le tipologie dei genitori alle prese con i problemi scolastici: c’è il militare, lo stimolatore a oltranza, il delegante. Tutti sono ad alto rischio

Avete mai pensato che come genitori, che lo vogliate o meno, siete anche i professori dei vostri figli? È la tesi esposta da Alessandro Bartoletti e Ilaria Cerbo, entrambi psicologi e psicoterapeuti nel libro “Ogni famiglia ha il suo professore; Genitori e scuola: ancora c’è speranza” (Franco Angeli, 99 pp, 18 euro).

Da sempre la scuola è vista con gli occhi dello studente o del docente, eppure mamma e papà partecipano alla formazione dei figli. Molto spesso sono un supporto e commettono errori, ma certamente fanno la differenza. Ecco allora un manuale agile e chiaro pensato per i genitori alle prese con l’universo scolastico, dalle elementari all’università.

Secondo i nostri esperti, molti genitori pensando di fare il bene del figlio si propongono come “genitore militare”. Rispetto al genitore autoritario di qualche decennio fa, questo “sergente” è estremamente coinvolto nella vita scolastica dei figli. Ha un forte senso del dovere e della responsabilità, unita a una grande consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo e della propria guida per la crescita dei figli. Il tallone d’Achille di questo modello è l’esasperazione dell’etica del sacrificio e l’eccessiva paura di perdere il controllo sulla vita dei propri figli o sulla loro carriera scolastica. In questo caso, può accadere che il rapporto fra genitore e figlio si trasformi in una sorta di muro contro muro.

Il suggerimento principale che gli psicologi danno a questo genitore è di evitare di sminuire o sottovalutare i piccoli o grandi successi dello studente. Occorre anche evitare di mostrare un disappunto eccessivo di fronte a eventuali insuccessi quando sono comunque il frutto di un tentativo, di un investimento di energie e di risorse emotive e mentali notevoli. Questi genitori devono quindi allenarsi a valorizzare non soltanto il risultato finale, ma anche il percorso di apprendimento che porta a quel risultato.

Un altro passo importante è manifestare interesse verso le opinioni dei figli, sostenendoli nel coltivare talenti e passioni, oltreché nel costruirsi un futuro solido e promettente. È un errore non concedere alcuna libertà di scelta. Così si rischia il rifiuto drastico di qualsiasi proposta, anche durante il percorso scolastico.

Per contro la reazione ai vecchi modelli autoritari è “l’ipergenitore”. Si tratta di una figura iperprotettiva e ipercoinvolta nella vita scolastica dei figli. La sua preoccupazione è la felicità del figlio, intesa come assenza di difficoltà e frustrazione. La missione dell’ipergenitore è difendere il figlio da esperienze spiacevoli e negative, costi quel che costi. Questo genitore andrà incontro fatalmente a delusioni perché spianare la strada e soddisfare in anticipo i desideri porterà inevitabilmente a un’insoddisfazione costante. Per uscire da questo vicolo cieco l’ipergenitore, soprattutto alle elementari, potrà impegnarsi per creare una piccola sfida quotidiana da superare per il proprio figlio. Bisogna uscire dal ruolo di custodi per diventare “stimolatori dell’esperienza” e delle capacità del proprio figlio.

I nostri esperti hanno poi individuato il genitore “delegante”. Persone di questo tipo affidano totalmente e completamente la formazione dei figli alla scuola. Sono fiduciosi e spesso ottimisti. Pensano che la scuola non sia un problema e comunque che non spetti a loro occuparsene. Questi genitori sopravvalutano le capacità di autoregolazione dei figli e sovrastimano le responsabilità pedagogiche della scuola. Sono quindi un po’ ingenui o fatalisti sulla formazione dei figli.

Scrivono gli autori: «Se i genitori militari corrono il rischio di indurre gli studenti a repentine ribellioni, focalizzandosi eccessivamente sull’obbligo e gli ipergenitori quello di crescere ragazzi insicuri e incapaci, sostituendosi costantemente a loro, i genitori deleganti rischiano di assistere al lento e progressivo ritiro dei figli dal mondo della scuola e della formazione». Il ragionamento che fanno i ragazzi che si sentono trascurati è “se non è importante per nessuno, perché dovrebbe esserlo per me?”. D’altra parte il genitore delegante pensa che il figlio maturerà e che tutto si sistemerà con la crescita. In realtà lo manda allo sbaraglio. Per gli esperti questo genitore deve decidersi a mettersi in gioco, potrebbe rivelarsi più capace di quanto immagini e i figli saranno riconoscenti dell’affetto e del coinvolgimento dimostrato.

Ma esisterà il “genitore perfetto”? Secondo gli autori è «un genitore che sbaglia spesso, anche se mai volentieri. Nonostante si riconosca innumerevoli défaillances con i figli, risorge continuamente dalle proprie ceneri: si impegna, insiste, non si arrende. Si mette in discussione ed è disposto a rivedere il suo copione a seconda delle diverse necessità o difficoltà che, inevitabilmente, insorgono. Insomma, il suo è un atteggiamento camaleontico: cambia colore prontamente, per meglio adattarsi alle mutate circostanze e alle diverse situazioni».

Chiarisce la psicologa Ilaria Cerbo: «Non esiste un’unica strada maestra da seguire per aiutare i propri figli anche nel contesto delle difficoltà scolastiche, però è certo che serve una grande flessibilità. Un genitore “perfetto”, ironicamente parlando, è un genitore che riesce periodicamente a rimettere in discussione una determinata modalità quando le circostanze richiedono di farlo. Ciò che genera difficoltà è, infatti, l’irrigidimento di una certa modalità. Tutti i copioni genitoriali presentano aspetti virtuosi e potenzialmente positivi per far fronte ai problemi scolastici, ma quando vengono portati all’esasperazione diventano un ostacolo per vivere serenamente questo periodo. Il genitore “perfetto” è quello che è in grado sia di fare il “professore” in famiglia, di essere di esempio, di dare una linea guida e nello stesso tempo è anche costantemente disposto a essere nella posizione di chi apprende e di chi rivede il proprio modello, se necessario. Occorre essere in grado di utilizzare una certa ironia nei confronti della propria modalità educativa, essere capaci di non prendersi troppo sul serio, ma di considerare invece seriamente il fatto di essere un punto di riferimento educativo, affettivo e “professorale” per i propri figli».

Fonte: Giovanna Sciacchitano | Avvenire.it

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