C’è un tema in Italia che continua a dividere come pochi altri: l’introduzione dell’aborto nella legislazione attraverso la legge 194, che lo legalizzò nel 1978, legge confermata da un referendum nel 1981.
In questi giorni è uscito un libro che ricorda la storia delle origini e delle caratteristiche di questa legge e di come attorno a essa maturò una battaglia ideale, culturale e politica che non è mai finita, ma ci ricorda pure che stiamo comunque parlando dell’uccisione di un essere umano innocente, non di un conflitto politico qualsiasi.
Il libro (Ares, 2025) è scritto da due donne da sempre impegnate sul fronte della promozione della vita, Chiara Mantovani e Marina Casini, che oggi dirige il Movimento per la Vita.
Lo scopo del testo è di ricordare un passaggio importante della storia italiana, che ha segnato una tappa significativa del processo di allontanamento del Paese dalle sue radici umanistiche e cristiane. Esso si rivolge a tutti, perché il diritto alla vita è una componente primaria del bene comune, ma in particolare ai più giovani, che non hanno vissuto quel periodo della storia, affinché possano essere messi nelle condizioni di comprenderne l’importanza.
La legalizzazione dell’aborto nel 1978 è strettamente legata a quella del divorzio otto anni prima, anch’essa confermata da un referendum, nel 1974. Entrambe sono tappe fondamentali di una rivoluzione antropologica che continuerà fino ai nostri giorni, culminando nell’ideologia gender.
I due referendum del 1974 e del 1981 (il libro si sofferma per molte pagine sul secondo) sono stati il segnale di come ormai la maggioranza degli italiani avesse accettato come l’unità della famiglia e la sacralità della vita non fossero più valori da difendere e promuovere come fondamentali per il bene comune. Oggi, 55 anni dopo il divorzio e 47 anni dopo l’aborto, la situazione è certamente peggiorata perché la rivoluzione antropologica è proseguita, penetrando ulteriormente nel corpo sociale. Il libro racconta questa storia, senza dimenticare anche i tradimenti che hanno facilitato l’affermarsi della legge abortista, in particolare i firmatari della legge 194, tutti appartenenti alla Democrazia Cristiana, dal Capo dello Stato, che non ebbe lo stesso coraggio di Re Baldovino del Belgio (che si rifiutò di firmare una legge analoga), ai ministri, tutti democristiani, che la sottoscrissero senza apparenti rimpianti.
Ma il libro pone anche la questione più importante: che fare oggi? Infatti, se è vero che la legge 194 è iniqua e questa iniquità va sempre ricordata, è altrettanto vero che proprio per questo motivo bisogna restituire centralità al discorso pubblico sull’aborto, senza “gridare”, senza scandalizzarsi di fronte al fatto che ormai l’aborto è entrato nel modo di pensare e di vivere di molti italiani, perché la legge fa costume e incide sulle mentalità.
Di fronte alla gravità della situazione, non solo italiana ma comune a tutti i Paesi occidentali, il libro non chiude alla speranza. È vero, infatti, che la quiescenza all’aborto è penetrata e si è largamente diffusa, ma esiste anche una minoranza di uomini e donne fedeli alla vita, che è cresciuta, se non numericamente, certamente in consapevolezza dal 32% che votò contro la legge 194 nel referendum del 1981.
Da questa minoranza bisogna ripartire, tenendo vivo il problema, con il massimo rispetto per le opinioni diverse e con tanta capacità di spiegare con pazienza che la posta in gioco è la vita di milioni di bambini e la civiltà, l’umanità del nostro Paese. Questo libro può essere un’occasione. Portatelo al vostro parroco, regalatelo al dirigente di un circolo culturale o politico, fatelo vedere ai vostri amici invitandoli a una presentazione a casa vostra. Chi ha figli o nipoti nelle scuole superiori lo proponga come tema di un dibattito. Soprattutto leggetelo.
Il diritto alla vita è troppo importante per non essere promosso con tutte le nostre forze.