La nascita di un figlio rappresenta un momento cruciale nella vita di una donna, ma nel contesto lavorativo italiano si traduce spesso in una serie di penalizzazioni nota come “motherhood penalty”. Questo fenomeno si manifesta attraverso una diminuzione delle opportunità professionali, una riduzione salariale e una maggiore probabilità di abbandono del lavoro.
La nascita di un figlio può incidere non poco sull’attività lavorativa di una donna, specialmente se è un’autonoma Stefania Debora Gandini Pubblicato 5 Febbraio 2025 Una donna a lavoro (Pixabay) La nascita di un figlio rappresenta un momento cruciale nella vita di una donna, ma nel contesto lavorativo italiano si traduce spesso in una serie di penalizzazioni nota come “motherhood penalty”. Questo fenomeno si manifesta attraverso una diminuzione delle opportunità professionali, una riduzione salariale e una maggiore probabilità di abbandono del lavoro. Decreto Flussi 2025, click day oggi 5 febbraio/ Come funziona, chi può fare domanda e dove: link del Viminale Messico, iniziato rafforzamento frontiere a confine con Usa Current Time 0:13 Duration 0:35 Analizzando nel dettaglio le dinamiche e le statistiche più recenti che evidenziano questa realtà. si riscontra in primis l’abbandono del lavoro post-maternità. Secondo il rapporto annuale dell’Inps del 2024, prima della nascita di un figlio la probabilità di uscita dal lavoro è simile tra uomini e donne, attestandosi intorno al 9% per i primi e al 10,5% per le seconde. Tuttavia, nell’anno della nascita, questa percentuale sale al 18% per le donne e scende all’8% per gli uomini. Questi dati evidenziano come la maternità incida significativamente sulla permanenza delle donne nel mercato del lavoro. Pensioni 2025/ Novità per aiutare i contributivi, quali sono? (5 febbraio) L’abbandono del lavoro, o nel caso delle libere professioniste una riduzione considerevole degli impegni professionali, genera un impatto sui redditi che, secondo l’Inps, si traduce in una perdita del 16% per le lavoratrici dipendenti, mentre per quelle che non possono contare sugli ammortizzatori raggiunge il 76%. Al contrario, la nascita di un figlio non incide negativamente sul reddito degli uomini che, anzi, a sette anni dalla nascita del figlio, registrano in media un incremento del reddito di circa il 50%. Le disparità salariali e le interruzioni di carriera legate alla maternità hanno ripercussioni anche sul sistema pensionistico. Al 31 dicembre 2023, i pensionati in Italia erano circa 16,2 milioni con l’importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini superiore a quello delle donne di circa il 35%, ovvero per gli uomini il reddito da pensione è in media di 2.056 euro, mentre per le donne è di 1.524 euro. Reddito di cittadinanza 2025/ I risultati dopo l’addio, e i percettori Adi (5 febbraio) In Italia, il numero di lavoratrici autonome è in crescita, ma la flessibilità del lavoro indipendente comporta un elevato livello di incertezza, soprattutto durante la maternità. Sebbene le libere professioniste abbiano diritto al congedo di maternità, come previsto dall’art. 64 del Testo Unico, il trattamento economico differisce da quello delle lavoratrici dipendenti. Il congedo è riconosciuto per i due mesi prima del parto e per i tre mesi successivi, con un’indennità pari all’80% di 1/365 del reddito medio giornaliero degli ultimi 12 mesi. Tuttavia, l’assenza di tutele aggiuntive e la necessità di mantenere attiva la propria attività professionale possono rendere difficile per le libere professioniste gestire la maternità senza compromettere la propria carriera. Le madri libere professioniste in Italia affrontano sfide significative nel conciliare la maternità con l’attività lavorativa autonoma. Secondo un’indagine condotta dall’Associazione degli enti previdenziali privati (Adepp), nel 2023 il 61% delle donne intervistate svolgeva la libera professione al momento della nascita di almeno uno dei figli. Oltre al gap economico, esistono effetti al lungo termine sulla carriera per le madri lavoratrici. Secondo un’analisi della Fondazione Libellula del 2024, l’84% delle madri con figli al di sotto dei 3 anni è colpito dal gender pay gap. Inoltre, quasi 7 donne su 10 vedono rallentato il proprio percorso di crescita professionale a causa della maternità, con una percentuale più elevata se minore è l’età dei figli e maggiore il numero degli stessi, e 4 donne su 5 ritengono che un bambino possa frenare la carriera. Da un report del 2024 curato dall’Osservatorio Libere Professioni di Confprofessioni emerge che solo il 36,6% delle donne dichiara di non aver subito cambiamenti dopo la nascita di un figlio contro il 68,3% tra gli uomini. Questo significa che, nonostante si registri una maggiore consapevolezza a riguardo, la responsabilità genitoriale pesa sulle donne quasi il doppio rispetto agli uomini. Inoltre, la posticipazione delle nascite è tra gli aspetti che più influiscono sul calo di fecondità. I dati del 2022 mostrano che l’età media al momento del parto è di 32,5 anni, con un aumento costante rispetto agli anni precedenti. Questo fenomeno è influenzato anche dalle difficoltà nel conciliare carriera e famiglia, soprattutto per le libere professioniste italiane che spesso devono affrontare la maternità senza il supporto e le tutele garantite alle lavoratrici dipendenti. Eliminare le penalità legate ai figli potrebbe avere effetti positivi sull’occupazione femminile e incidere sull’intero mercato del lavoro italiano. Infatti, secondo il rapporto “Le Equilibriste” di Save the Children del 2024, rimuovere la motherhood penalty aumenterebbe il tasso di occupazione femminile di 14 punti percentuali già entro il 2030, chiudendo l’85% del divario di genere attuale. Le donne continuano a subire svantaggi economici e professionali a seguito della nascita di un figlio, con ripercussioni che si estendono lungo tutto l’arco della vita lavorativa e oltre. Solo attraverso un impegno concreto e condiviso sarà possibile garantire alle madri italiane le stesse opportunità dei loro colleghi maschi, valorizzando al contempo il contributo fondamentale che esse apportano alla società e all’economia.
— 5 Febbraio 2025 — pubblicato da Redazione. —La nascita di un figlio può incidere non poco sull’attività lavorativa di una donna, specialmente se è un’autonoma
Analizzando nel dettaglio le dinamiche e le statistiche più recenti che evidenziano questa realtà. si riscontra in primis l’abbandono del lavoro post-maternità. Secondo il rapporto annuale dell’Inps del 2024, prima della nascita di un figlio la probabilità di uscita dal lavoro è simile tra uomini e donne, attestandosi intorno al 9% per i primi e al 10,5% per le seconde. Tuttavia, nell’anno della nascita, questa percentuale sale al 18% per le donne e scende all’8% per gli uomini. Questi dati evidenziano come la maternità incida significativamente sulla permanenza delle donne nel mercato del lavoro.
L’abbandono del lavoro, o nel caso delle libere professioniste una riduzione considerevole degli impegni professionali, genera un impatto sui redditi che, secondo l’Inps, si traduce in una perdita del 16% per le lavoratrici dipendenti, mentre per quelle che non possono contare sugli ammortizzatori raggiunge il 76%. Al contrario, la nascita di un figlio non incide negativamente sul reddito degli uomini che, anzi, a sette anni dalla nascita del figlio, registrano in media un incremento del reddito di circa il 50%.
Le disparità salariali e le interruzioni di carriera legate alla maternità hanno ripercussioni anche sul sistema pensionistico. Al 31 dicembre 2023, i pensionati in Italia erano circa 16,2 milioni con l’importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini superiore a quello delle donne di circa il 35%, ovvero per gli uomini il reddito da pensione è in media di 2.056 euro, mentre per le donne è di 1.524 euro.
In Italia, il numero di lavoratrici autonome è in crescita, ma la flessibilità del lavoro indipendente comporta un elevato livello di incertezza, soprattutto durante la maternità. Sebbene le libere professioniste abbiano diritto al congedo di maternità, come previsto dall’art. 64 del Testo Unico, il trattamento economico differisce da quello delle lavoratrici dipendenti. Il congedo è riconosciuto per i due mesi prima del parto e per i tre mesi successivi, con un’indennità pari all’80% di 1/365 del reddito medio giornaliero degli ultimi 12 mesi. Tuttavia, l’assenza di tutele aggiuntive e la necessità di mantenere attiva la propria attività professionale possono rendere difficile per le libere professioniste gestire la maternità senza compromettere la propria carriera. Le madri libere professioniste in Italia affrontano sfide significative nel conciliare la maternità con l’attività lavorativa autonoma. Secondo un’indagine condotta dall’Associazione degli enti previdenziali privati (Adepp), nel 2023 il 61% delle donne intervistate svolgeva la libera professione al momento della nascita di almeno uno dei figli.
Oltre al gap economico, esistono effetti al lungo termine sulla carriera per le madri lavoratrici. Secondo un’analisi della Fondazione Libellula del 2024, l’84% delle madri con figli al di sotto dei 3 anni è colpito dal gender pay gap. Inoltre, quasi 7 donne su 10 vedono rallentato il proprio percorso di crescita professionale a causa della maternità, con una percentuale più elevata se minore è l’età dei figli e maggiore il numero degli stessi, e 4 donne su 5 ritengono che un bambino possa frenare la carriera. Da un report del 2024 curato dall’Osservatorio Libere Professioni di Confprofessioni emerge che solo il 36,6% delle donne dichiara di non aver subito cambiamenti dopo la nascita di un figlio contro il 68,3% tra gli uomini. Questo significa che, nonostante si registri una maggiore consapevolezza a riguardo, la responsabilità genitoriale pesa sulle donne quasi il doppio rispetto agli uomini.
Inoltre, la posticipazione delle nascite è tra gli aspetti che più influiscono sul calo di fecondità. I dati del 2022 mostrano che l’età media al momento del parto è di 32,5 anni, con un aumento costante rispetto agli anni precedenti. Questo fenomeno è influenzato anche dalle difficoltà nel conciliare carriera e famiglia, soprattutto per le libere professioniste italiane che spesso devono affrontare la maternità senza il supporto e le tutele garantite alle lavoratrici dipendenti.
Eliminare le penalità legate ai figli potrebbe avere effetti positivi sull’occupazione femminile e incidere sull’intero mercato del lavoro italiano. Infatti, secondo il rapporto “Le Equilibriste” di Save the Children del 2024, rimuovere la motherhood penalty aumenterebbe il tasso di occupazione femminile di 14 punti percentuali già entro il 2030, chiudendo l’85% del divario di genere attuale. Le donne continuano a subire svantaggi economici e professionali a seguito della nascita di un figlio, con ripercussioni che si estendono lungo tutto l’arco della vita lavorativa e oltre. Solo attraverso un impegno concreto e condiviso sarà possibile garantire alle madri italiane le stesse opportunità dei loro colleghi maschi, valorizzando al contempo il contributo fondamentale che esse apportano alla società e all’economia.
Fonte: Stefania Debora Gandini | IlSussidiario.net