Desiderio di appagamento immediato, incapacità di “stare” nelle emozioni e plusmaterno: ecco cosa raccontano di noi alcuni recenti spot pubblicitari. Cosa ci rimane in tasca? «Uno spruzzo di felicità fino al prossimo click», commenta l’educatrice Silvia Da Dalt
Gli spot pubblicitari da sempre rispecchiano qualcosa di noi, del sociale, delle direzioni culturali e identitarie che passano sottopelle, indisturbate. Di recente in molti saranno rimasti dolcemente colpiti da alcune pubblicità di una nota azienda di commercio on-line che fanno leva sul tema dei desideri profondi delle persone. In particolare, in uno spot si vede un ragazzo che, da poco trasferitosi con la madre in una casa in riva al mare, prova ad andare sul suo skate sul litorale di sabbia ed erba, perché in quel nuovo paese, evidentemente, non esistono superfici adatte (ma veramente?) o piste apposite. Sconsolato e arrabbiato abbandona lo skate e rientra in casa (peraltro dotata di un lungo viale d’ingresso in cemento…). La mamma del ragazzo, dalla finestra, vede tutta la scena, con sguardo rammaricato; poi sorride perché ha un’idea. Va nel sito dell’azienda in questione e fa un ordine. Si vede arrivare un pacco alla porta di casa e la mamma trepidante che va in camera dal figlio, steso sul letto con cuffie e cellulare, e gli fa aprire il regalo. Il figlio è sorpreso e incredulo e corre a provare sulle onde la sua nuova bellissima tavola da surf. Felicità.
L’indiscutibile romanticismo di questo spot fa passare inosservati alcuni nuclei di significato molto importanti, che hanno a che fare con degli aspetti sociali ed educativi fondamentali. La prima dinamica è: ho una frustrazione, rinuncio. Non mi attivo. Si attiva, invece, il genitore che dà una soluzione immediata, senza bisogno che il figlio parli, esprima la mancanza e, quindi, il desiderio. Il vuoto viene immediatamente colmato, non c’è lo spazio dell’attesa, della domanda, della ricerca di soluzioni alternative all’oggetto e al godimento immediato. Cercare un luogo adatto per fare skate? Allontanandosi da casa? Non sia mai; meglio accudire, ipercurare, risolvere subito fatiche e tristezza. Il figlio non prova nemmeno ad occuparsi del desiderio e, oltretutto, addormenta i suoi pensieri con la passività che dona il cellulare.
Il tema del saper stare nella mancanza per sviluppare il desiderio e l’attivazione personale si intreccia, quindi, senza soluzione di continuità, con altri due grandi questioni attuali. Da un lato l’iper-presenza dell’accudimento materno. Dall’altro il “latte” inebriante del consumo. La dottoressa Pigozzi, psicoanalista e filosofa di spicco, affronta – e non è un caso – entrambi i temi nei suoi testi, riferendosi al diffuso plusmaterno (termine da lei coniato riferendosi ad una specifica modalità di cura verso i figli) e alla crescente infantilizzazione dell’essere umano e dei giovani in particolare. Iperaccudimento, ipernutrimento, intrusività, ipercondivisione: tutto diventa causa di mancanza di evolutività, di crescita, di separazione. Il mercato ha tutto l’interesse a mantenerci infantili e passivizzati (proprio come fa la plusmadre), perché sono tipicamente i bambini a non averne mai abbastanza del godimento dell’oggetto, che dona piacere non solo emotivo, ma anche fisiologico, a causa del meccanismo della ricompensa che non è ancora regolato dall’attività della corteccia cerebrale. Ogni dipendenza ha questo meccanismo, ovviamente, anche in età adulta. E il mercato lo sa. «Siamo immersi in un’economia che mira a costruirci come tossicodipendenti bramosi di banali prodotti rivestiti di poteri quasi magici. L’infantilizzazione è funzionale al mercato». Così scrive la Pigozzi nel suo ultimo lavoro, L’età dello sballo (Rizzoli, 2024).
Perché è importante tenere gli occhi aperti su questi temi? Perché sono direzioni che si nutrono l’una l’altra in sinergia, rafforzandosi a vicenda: plusmaterno, consumismo, morte del desiderio. È fuor di dubbio che faccia tenerezza quel ragazzo; ha dovuto lasciare luoghi ed affetti e sta sicuramente vivendo una sorta di lutto dentro di sé. Ed è a questo che bisognerebbe dare parola e ascolto. Invece, c’è solo lo spazio di un click, di un acquisto di mamma e di una soluzione legata all’oggetto. Uno spruzzo di felicità fino al prossimo click.
Fonte: Silvia Da Dalt* | FamigliaCristina.it
*Silvia Da Dalt, dott.ssa in Scienze e Tecniche Psicologiche, è educatrice professionale Sociopedagogica e tutor dell’apprendimento