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Cristicchi: “La cura migliore è prendersi cura degli altri”

Intervista al cantautore arrivato quinto a Sanremo con il brano Quando sarò piccola e ora in tour con i suoi spettacoli dedicati a San Francesco e a Franco Battiato

Dimprovviso la motosega che stava usando nel giardino di casa ha preso fuoco. Simone Cristicchi si è spaventato, è inciampato e ha battuto la testa contro una pietra aguzza. Probabilmente sarebbe morto dissanguato se accanto a sé non avesse avuto Erika Mineo, cioè Amara, sua compagna d’arte e di vita.

Per questo è stato molto emozionante vederli cantare assieme a Sanremo nella serata delle cover La cura di Franco Battiato: «La cantiamo già assieme nello spettacolo Torneremo ancora in cui rivisitiamo il repertorio più mistico di Franco. Cantarla all’Ariston è stata la nostra risposta pacata all’amore mercificato che sembra dominare oggi». Anche la canzone con cui Simone è stato in gara, Quando sarai piccola, è terapeutica, con il suo invito a riflettere sulla fragilità umana, in particolare dei genitori che a un certo punto della vita si ritrovano ad essere accuditi dai loro figli. «L’ho scritta durante la pandemia, pensando a mia mamma Luciana che in quelle settimane in cui eravamo chiusi in casa non potevo vedere. Nel 2012 ha avuto un’emorragia cerebrale che l’ha colpita gravemente nel corpo e nell’uso della parola, ma per fortuna non nella lucidità. È tornata bambina e con il suo sorriso illumina il mondo. Ed è sempre in prima fila con la sua carrozzina quando mi esibisco a Roma».

Il Festival invece lo ha seguito dalla Tv: «È felice, anche se la prima volta che ha ascoltato Quando sarai piccola mi ha detto: “È una bellissima canzone, ma io non sono ancora andata così via di testa…”. Di recente, abbiamo ritrovato la sua collezione di vinili: c’erano dischi di Gino Paoli, di Luigi Tenco, di Sergio Endrigo. Se sono diventato cantautore è anche merito suo».

L’arte per Simone è stata una vera salvezza: «Ho perso mio padre da bambino e per due anni sono rimasto chiuso nella mia camera. Se non avessi avuto la valvola di sfogo dell’arte, con il disegno e con la musica, forse sarei ancora in quella camera. O sarei diventato un uomo violento». Il concetto di cura per Simone è strettamente intrecciato con la parola attenzione, con cui non a caso inizia un altro suo spettacolo teatrale, Dall’Io al Noi. «Sul dizionario ho scoperto che non significa “essere concentrati” ma “volgere l’animo verso qualcosa”. Quindi nel momento in cui io sono in uno stato di attenzione evado dal mio ego, dalla prigione che mi sono costruito. E quando si esce da sé stessi, ci si accorge che esistono anche gli altri. Mi torna in mente un episodio divertente che mi è accaduto qualche tempo fa. Ero a Benevento per rappresentare davanti a una scolaresca il mio spettacolo Magazzino 18 sull’esodo istriano nel dopoguerra. Mentre recitavo vedevo nelle prime file delle luci di cellulari che si accendevano continuamente e, sconfortato, pensavo che non ero riuscito a catturare l’attenzione dei ragazzi. Qualche giorno dopo ho ricevuto una mail: “Gentile signor Cristicchi, il suo spettacolo ci è piaciuto moltissimo. Volevamo scusarci per le persone che controllavano sempre il cellulare: erano i nostri professori”».

Quando, come nel suo caso, un artista gode di un apprezzamento pressoché unanime da parte di critica e pubblico cementato in decenni di carriera, è facile prendersi troppo sul serio e trasformarsi in un guru che dispensa pillole di saggezza in ogni occasione. Un rischio che Cristicchi tiene a bada «perché riesco ancora a stupirmi di tutto. Cerco di mantenere una visione pura sulle cose e di pensare al futuro. Ho ripreso il tour del mio spettacolo su san Francesco d’Assisi. In un mondo che va sulle montagne russe, abbiamo bisogno di restare con i piedi per terra».

C’è ancora tempo per un’ultima curiosità. Nel nuovo album c’è una canzone, Il clandestino, che è la sigla dell’omonima serie poliziesca con Edoardo Leo andata in onda l’anno scorso sulla Rai. Un lavoro su commissione? «Sì, l’ho scritta d’istinto, sapendo solo per sommi capi le caratteristiche del personaggio ed è uscito fuori un mio ritratto. Il clandestino è un osservatore che non si rispecchia in niente, ma è curioso di tutto. Nel Vangelo di Giovanni e nella tradizione sufi c’è la stessa frase che ho ripreso anche nella mia canzone Dalle tenebre alla luce: “essere nel mondo, ma non appartenere al mondo”»

Fonte: Eugenio Arcidiacono | FamigliaCristiana.it

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