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Ucraina – Agguati contro i reclutatori. Kiev teme la rivolta interna

I russi continuano a colpire i centri per l’arruolamento mentre sarebbero decine le vittime di un nuovo raid aereo. Ma ci sono anche scontri tra i generali ucraini 

Nell’ultima settimana di febbraio diversi attacchi hanno colpito gli uffici per l’arruolamento militare ucraino. Il più grave: l’omicidio a Poltava di un ufficiale addetto al reclutamento. Gli agguati, però, non arrivavano solo dall’esercito russo., che nei giorni scorsi ha compiuto una strage di nuove leve. L’ufficiale ucciso è stato colpito da un civile ucraino che voleva sottrarre alla mobilitazione forzata un suo parente. Per Kiev è il più grave campanello d’allarme. «Uccidere personale militare nelle retrovie è una linea rossa che non può essere oltrepassata», ha intimato Mykhailo Drapatyi, comandante delle forze di terra ucraine. Ma il generale sa che gli aggiornamenti delle ultime ore non depongono a favore dell’arruolamento spontaneo.

Le notizie dalla Casa Bianca hanno galvanizzato il Cremlino che ora ha dato l’ordine di intensificare le operazioni militari cercando di far riguadagnare terreno alle forze di occupazione. Lo smarrimento nell’opinione pubblica ucraino è arrivato fino agli uomini in prima linea e l’incertezza sui rifornimenti di munizioni costringe i comandanti a risparmiare il più possibile, al contrario dell’armata russa che ha davanti l’opportunità per tentare un nuovo sfondamento. Negli ultimi mesi le cose per Mosca non stavano andando secondo i piani. Da Washington “L’Istituto per gli studi sulla guerra”, che in tre anni non ha quasi mai sopravvalutato né sottostimato i movimenti sul terreno, segnala che a febbraio le forze russe hanno compiuto meno progressi rispetto ai mesi precedenti. Anche se l’esercito russo continua la sua avanzata attorno a Pokrovsk, un nodo logistico nella regione del Donetsk, aggirando la città da sud. La strage dei giorni scorsi nel centro per l’addestramento delle reclute nella regione di Dnipro è uno dei maggiori colpi inflitti all’Ucraina nei tempi recenti, e ha riaperto il dibattito sull’affidabilità dei vertici militari. Il generale Oleksandr Syrskyi, capo delle forze armate di Kiev, non è molto amato dai combattenti che a seconda dei casi lo definiscono «macellaio» o più benevolmente «l’uomo senza un piano». Quello che i soldati vogliono dire è che «dopo tre anni non ci basta più il sapere che combattiamo per la libertà, ma vogliamo sapere a quale scopo ci vengono chiesti gli spostamenti, le missioni più pericolose, quale obiettivo strategico dobbiamo raggiungere». Delle volte «ci mandano allo scoperto senza sapere se dobbiamo conquistare quattro case abbandonate per poi procedere in una certa direzione oppure se dobbiamo solo tenere la posizione. Perché non ce lo dicono? Siamo qui a morire e non si fidano di noi?».

Mykhailo Drapatyi, comandante delle forze di terra dell’Ucraina, è furente. Teme che la verità sull’attacco alle reclute potrebbe restare nascosta «nella nebbia della burocrazia», ​ma ha promesso di impedirlo: «La guerra richiede decisioni rapide, responsabilità e nuovi standard di sicurezza. Altrimenti, perderemo più di quello che abbiamo», ha dichiarato ai media. Il ministero della Difesa russo ha messo in circolazione un video di quello che ha descritto come un attacco con missili balistici Iskander-M su un campo di addestramento nella regione di Dnipropetrovsk. L’Ufficio di Stato per le indagini, ha dichiarato di aver aperto un’inchiesta penale per negligenza. Secondo Kiev sarebbero state usate bombe a grappolo, ma sul tiupo di armi e il numero esatto delle vittime (decine secondo fonti non ufficiali) viene mantenuto il silenzio. Due ufficiali sono stati sospesi con l’accusa di “possibili negligenze”. La struttura di addestramento non era sconosciuta ed era visibile dall’esterno. Facile per gli informatori di Mosca fornire i dettagli e le coordinate. Non è un caso che in città come Odessa le mattine del fine settimana siano il momento più desolante. Non solo per il gelo che non molla la presa. Il passaparola dice che proprio nel giorno in cui molti non sono al lavoro si intensificano i controlli dei cacciatori di reclute. In giro non si vede quasi nessuno fino a quando via whatsapp non arriva la conferma che le retate sono concluse. La mobilitazione ha esaurito la sua spinta ideale oramai da tempo, ma chi non ha voglia di imbracciare le armi non per questo vuole consegnare il Paese al Cremlino. «Non fa per me. Ci ho anche provato ma appena ho sentito i primi spari ho avuto paura e sono scappato», confida Yaroslav che al solo pensiero trema ancora. E’ un disertore, come ce ne sono altri. Occhiali e modi da studente a modo, credeva di poter dare un contributo «alla causa della libertà», come la chiama lui.

La guerra fatta con le parole non è seconda a quella delle armi. I combattimenti più intensi continuano a svolgersi nell’Oblast meridionale di Donetsk. Nonostante le conquiste territoriali russe si siano arrestate al di fuori della città chiave di Pokrovsk, la difesa ucraina dell’area attorno a Kurakhove ha ceduto nei primi mesi del 2025. L’Ucraina sta cercando di consolidare la sua difesa. E la Russia si deve misurare la sua capacità di sostenere l’attuale tasso di attacchi e perdite, che necessitano un ricambio rapido.

Yaroslav, che a Odessa si nasconde per non venire arruolato e intanto studia Relazioni internazionali, su una cosa non ha dubbi: «Trump ha fatto il gioco di Putin. Zelensky poteva essere forse più furbo, ma non si aspettava un agguato. E ora Washington e Mosca parlano la stessa lingua». Un lessico che gli ucraini non capiscono più.

Fonte: Nello Scavo | Avvenire.it

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