Obbedienza e unità, due aspetti della soluzione alla crisi nel mondo cattolico contemporaneo
Sembrano strane, quasi irreali, queste giornate senza le parole e la presenza fisica del Pontefice. Eppure, il Papa c’è, anche se non si vede né si sente.
Così, forse, è proprio in questi giorni che ha particolare senso porsi la domanda: chi è il Papa? Che cosa rappresenta?
«Il Papa, Vescovo di Roma e Successore di san Pietro, “è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli”», scrive il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 882, citando la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II, Lumen gentium.
Il Papa fa molte cose, governa la Chiesa e insegna con il suo Magistero, ma soprattutto è il garante dell’unità, cioè del corpo visibile di tutti i fedeli, dai vescovi suoi confratelli ai fedeli cattolici, oltre un miliardo e 300 milioni sparsi nel mondo.
Nessuna religione ha questa caratteristica, perché nessuna religione è caratterizzata dall’adesione a una Persona, Gesù di Nazareth, uomo e Dio, prima che a una serie di valori e principi.
Forse proprio noi cattolici facciamo fatica a comprendere in profondità questo principio, sancito nelle parole di Cristo: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». Parole rivolte a un semplice pescatore, che sarebbe stato assistito direttamente da Dio e, così, garantito dal Signore. Un uomo, con tutti i suoi limiti e difetti, ma un uomo investito di una missione speciale per la quale Dio stesso si fa garante. Un uomo che non cessa di essere un peccatore, tuttavia il Figlio di Dio ci invita a seguirlo, con fiducia.
Se ci pensiamo è incredibile, ma è il fondamento della fede cattolica, che si basa sul rapporto personale della creatura con il suo Creatore, attraverso la mediazione della Chiesa, raccolta intorno al Vicario del Signore.
In oltre duemila anni la Chiesa ha avuto Papi molto discutibili, alcuni addirittura riprovevoli, ma non ha mai abbandonato questa fede, che da 1700 anni, dal Concilio di Nicea, professiamo tutti con le stesse parole ogni domenica durante la Messa.
Chi si è staccato da questa verità ha rotto la comunione e ha creato ferite che permangono ancora oggi e continuano a fare sanguinare il corpo di Cristo, in particolare il Grande Scisma, cioé l’importante rottura con Roma delle Chiese orientali nel 1054, proseguendo con quella nata nel XVI secolo con il Protestantesimo.
Ma l’unità della Chiesa non è soltanto quella visibile. Si può rompere la comunione anche nel foro interno, mantenendo una apparente unità, formale ma non sostanziale. E questo purtroppo succede anche oggi ed è successo molte volte. È accaduto con il giansenismo e con il modernismo, due “eresie bianche”, cioè due eresie che non volevano rompere l’unità giuridica, ma la minavano dall’interno, con malizia più o meno consapevole. E questo è avvenuto anche con la rivolta contro san Paolo VI, quando pubblicò l’Humanae vitae nel 1968, con i manifesti dei teologi contro san Giovanni Paolo II e, poi, contro Benedetto XVI, e ancora di più oggi contro Papa Francesco, accomunando ambienti di diversa tendenza teologica e ideologica.
Naturalmente questo non significa che ogni gesto del Papa sia infallibile o che un Papa non possa peccare, ma vuol dire che alla sua persona va riconosciuta un’assistenza divina particolare, così che ogni atto del suo Magistero ordinario, pur non essendo infallibile, necessita dell’«ossequio dello spirito», come scrive il Catechismo al n. 892.
Il problema della nostra epoca è la penetrazione del relativismo dentro la Chiesa e, di conseguenza, anche il rifiuto pratico del principio dell’obbedienza e dell’ascolto, per cui si giudicano gli atti del Pontefice alla luce del proprio sentire e non viceversa. Come dire che gli atti dei Papi non ci interrogano, non impariamo a confrontare il nostro pensiero con quello del Magistero, ma facciamo il contrario e, quando troviamo qualcosa che non rientra nel nostro modo di pensare, lo rifiutiamo o, peggio, lo condanniamo invece di interrogarci.
Chi ha insegnato ad assumere un vero atteggiamento filiale di obbedienza è stato don Piero Cantoni, unitamente al fratello Giovanni, fondatore di Alleanza Cattolica, con il suo libro sul Magistero ordinario in particolare, ma anche con tutto il suo insegnamento, prima della malattia che da anni lo affligge (P. Cantoni, Oralità e Magistero. Il problema teologico del Magistero ordinario, D’Ettoris, 2014). Grazie a loro, la famiglia spirituale di Alleanza Cattolica ha superato le traversie e le incertezze di un tempo della storia della Chiesa difficile, ma anche entusiasmante, perché volto alla ripresa missionaria nei Paesi secolarizzati di antica tradizione cristiana, come il nostro.
Obbedire non significa capire tutto e capirlo subito: spesso comporta anche il sacrificio della propria opinione. Obbedire non esclude di porre domande quando non si capisce, senza spirito di polemica e con un atteggiamento filiale. Soprattutto, obbedire significa confermare nei fatti che l’unità attorno a una persona scelta dallo Spirito Santo è uno dei più grandi doni che Dio ha fatto agli uomini, dando loro qualcuno da seguire e dando a questo qualcuno la sua assistenza continua e benefica.
In queste ore di “assenza” apparente, preghiamo per la salute di Papa Francesco, e ringraziamo Dio di avere accompagnato la Chiesa per oltre duemila anni assistendo il suo capo visibile.
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