Aprile, dice Eliot, è il più crudele di tutti i mesi. Vengono meno molte sicurezze e al nostro cuore questo appare ingiusto. Ma è una nuova vita che viene
Aprile, dice T.S. Eliot, è il più crudele di tutti i mesi. La neve si scioglie e quello che sembrava essere tutto l’orizzonte del mondo si rivela come un angolo di vita limitato, infinitamente piccolo rispetto alla vastità che emerge alla portata degli occhi.
Tuttavia, al cuore appare ingiusto questo venir meno di ogni sicurezza: l’uomo non vuole che la neve si sciolga, che l’incedere del tempo porti via volti, voci, mani che ammantavano il suo piccolo universo. L’uomo non è mai pronto per il nuovo e dinnanzi al nuovo non fa che rifuggerlo o sminuirlo, non fa che spiegarlo o ingigantirlo. Raramente ci sta, in silenzio e in attesa. Come in quell’antico giardino dove Dio una sola cosa aveva chiesto ad Adamo: “Stai qui e aspetta, non prendere quel frutto, impara ad attendere un tempo e una spiegazione che non conosci”.
Fa impressione vedere in che razza di confusione si agitano le acque dei nostri giorni: il cambio di guida alla presidenza negli Stati Uniti d’America vissuto come un irreparabile tsunami, l’azione e la malattia del Papa guardati con circospezione e sospetto, l’orrore di guerre infinite che sembrano poter trovare pace solo nelle iniziative ciniche o ideologiche di pochi, la drammatica crisi d’identità dell’Unione Europea.
Però questa confusione non è lontana da quella che si respira nel quotidiano, dove siamo così protesi ad aver ragione che, spesso, non ci accorgiamo di aver smarrito proprio la ragione, la capacità di vedere le cose dentro un quadro e un orizzonte più ampio. E il conflitto, il litigio – che non ha più nulla della nobile dialettica che i filosofi dell’Ottocento gli assegnavano – diventa la forma persistente della nostra giornata: in casa, al lavoro o nelle nostre comunità c’è una divisione e una confusione che ci arma l’un contro gli altri, indifferenti alle ferite profonde e alle fragilità estreme su cui oggi sono costruite le nostre relazioni e – Dio non voglia – anche le nostre stesse famiglie.
Bisognerebbe costruire dimore, dove l’Io di ciascuno trovi ospitalità, bisognerebbe costruire case, dove si impari di nuovo a “fare insieme”, bisognerebbe costruire templi, dove una Presenza buona ci permetta di rileggere tutto il caos della vita alla luce del dono e della gratuità. Mentre invece si architettano solo battaglie, scontri, rese dei conti. Dilaniando e lacerando il tessuto sociale e comunitario in un modo che alimenta soltanto la solitudine, lo smarrimento, l’abbandono.
Ecco perché, dinnanzi a tutto questo, arriva aprile. Perché la neve si sciolga e tutte le nostre passioni appaiano soltanto, come diceva Leopardi, stupide battaglie di rane contro topi. Quel che interessa a Dio non sono le nostre verità, ma il sangue di Abele il giusto, il grido del popolo in Egitto, la morte del Suo amico Lazzaro: è il dolore del cuore l’unica autorevolezza che Dio conosce e dinnanzi alla quale Egli si muove.
Capita a volte di innamorarsi e nell’amore capire che il destino del cuore non è quello di essere impegnato in alterchi e battaglie, bensì quello di essere innamorato, cioè totalmente preso – afferrato – da qualcos’altro che spalanca le porte infinite della vita.
Quando ci si lascia, quando si perde la persona amata, quando si sta nel dramma di un rifiuto o di un matrimonio che uno potrebbe perfino percepire come ingiusto e sbagliato, è allora che si comprende quanto la vita abbia bisogno non di vittorie, ma di amore. E l’amore è sempre possibile, anche quando la persona che ami non c’è più o non ci può essere.
Perché l’amore non è un abbraccio, un bacio o una soddisfazione sentimentale, l’amore è la coscienza di un altro per cui tu sei vivo e vivi, un altro che ti fa stare nella storia in modo originale e creativo. Non si ama per stare in una tana o per realizzare un’immagine, si ama per stare al mondo e venire alla luce.
Nessun dolore potrà mai impedire questo, nessun dolore potrà mai ostacolare la possibilità che ciascuno ha di dire sì all’amore. La soluzione dei conflitti del mondo, la soluzione della confusione di casa, la soluzione della sofferenza dell’anima non sta in una rivincita, ma in una resa incondizionata ad un bene che ogni mattina ci rimette al nostro posto ridestando tutto quello che siamo, sfidando tutto quello che desideriamo.
Che grandezza che venga aprile! Che grandezza che crollino le illusioni! Che grandezza sentire di nuovo, e improvvisamente, la vita viva! Possano questi nuovi giorni di luce e di primavera, possa questa attesa della Pasqua imminente, portare l’attenzione dell’umanità sui fiori gialli del Papa, i fiori che egli stesso ha notato affacciandosi la settimana scorsa dal balcone dell’ospedale dove stava terminando la sua degenza. Perché è solo guardando quei fiori così rigogliosi e fioriti che capiremo, forse segretamente commossi, quanto è stata necessaria la pioggia.
fonte: Federico Pichetto | IlSussidiario.net