Mi sono trovato invitato in parrocchia insieme a mia moglie, ad un incontro, quello che un tempo, quando si pensava andasse bene, si chiamava il “corso dei fidanzati”.
Ora, su tutto, visto come sta andando, specialmente nel recinto della fede, si cerca di usare terminologie più “morbide” declinate dalla sociologia, per non urtare, per non dare l’impressione da subito che credere e sposarsi sia la stessa cosa, e non quella “malattia” per la quale, con volontà e impegno, si può guarire con una ricetta precisa.
Sei coppie che per la nostra piccola realtà incredibilmente rappresenta un lusso inaspettato. Dovevamo noi dare fuoco alle polveri; una coppia di boomer che ha resistito dal giurassico fino adesso, che dovevano affrontare il tema “dall’innamoramento all’amore”.
Annalisa, che aveva po’ di timori, è andata benissimo, ma io mi sono bloccato, un po’ per la presenza di nostra figlia col suo fidanzato, un po’ per le aspettative di presunta esperienza appiccicate alla nostra anagrafe e un po’ per non farli “scappare” da subito parlando di Lui, come mi redarguiscono spesso mia moglie e i miei figli.
Avevo tante cose da dire, belle, che hanno reso importante ciò che non lo sarebbe stato, unico ciò che sarebbe stato solito e vuoto, prezioso ciò che sarebbe stato povero nella mia vita e quindi nella nostra da sposati, da genitori e il nostro scoprirci una cosa sola con Lui. Tutte cose incomunicabili, figurarsi per un dislessico come me.
Se fossi stato bravo avrei forse potuto dire: “guardate ragazzi, non pensate che noi due ne sappiamo molto di più di voi perché la nostra esperienza affonda nel giurassico, perché abbiamo le idee chiare derivanti dal famoso discernimento, frequentando la chiesa e che siamo qui con il don a parlare del matrimonio cristiano per sponsorizzarlo perché magari abbiamo da giovani militato tanti anni in AC o in CL o cose simili o perché è stato il frutto della “favola” di esserci conosciuti in parrocchia e poi da fidanzati, avere fatto un po’ di catechismo ai ragazzi trascinati da don Lucio, che poi ci ha sposati. Abbiamo dato corpo cioè, con una volontà tutta nostra, ad un “progetto”, mettendo in comune tanti pensieri di bene che ci hanno portato a questa scelta”.
Ecco, forse su questo punto l’unica cosa comprensibile che, con sorpresa, mi è come sfuggita dalla mia atavica agorafobia è stata quella di dire che quando le cose passano dalla travolgente attrazione “fatale” e diventano via via più importanti e che devi riempire di senso, cose tipo: il cambiamento, la fedeltà, il sacrificio, le ferite, il disincanto, avere figli; ecco proprio allora se presti un po’ di attenzione, capisci che non sei tu che ti scegli, ma che invece sei scelto, sei chiamato.
Ci viene consegnato, donato tutto ciò che facciamo, tutto ciò che siamo, ci vengono “regalati” i mattoncini del Lego per costruire il senso del nostro stare su questa terra, del nostro stare insieme, della certezza di non essere soli, senza un progetto, senza un senso compiuto, proprio per sentire l’urgenza di dargli pienezza.
Ed è lì che avrei dovuto fare lo “scorretto “e dire che non si può parlare di matrimonio senza parlare di Lui, della fede, del mistero che lo comprende. E non è possibile parlare del mistero del matrimonio senza parlare di Resurrezione, perché sposarsi è esattamente il “disegnino “che ci è donato e che ci fa capire l’amore di Dio. La nostra vita, la vita del santo o del malvagio, del religioso o dell’ateo, in qualunque stato sia, forma, intensità, rilevanza, volente o nolente, si trova al centro proprio di questo: dell’amore, dell’essere amati, accettati per quello che siamo e non per quello che crediamo di essere o che il mondo che ci circonda vuole che siamo.
Tutti, credenti e non, ci troviamo al centro di questo bisogno di amore e di verità, di questa esigenza di verità che ci completa, che dà senso a tutto. Una verità che nessuna legge, nessuna scienza, nessuna filosofia ha reso disponibile e ha saputo spiegare, perché amore e verità sono la stessa cosa, un unico mistero inspiegabile, che si può spiegare solo con la fede, la sola che ci permette di accarezzarla.
Il matrimonio cristiano è pienamente al centro di questo mistero grande e per questo non è un semplice “star bene insieme”, ma la risposta credibile e disponibile sempre, non solo quando le cose vanno bene, ma soprattutto quando sono buie e sembrano insuperabili, quando diventano cruciali, come la risposta che si rinnova tutti i giorni alla domanda che Pilato ha fatto a Gesù nel pretorio, un po’ prima di lavarsene le mani.
Per il cristiano la risposta è quel Volto che dice Tutto, chi sei e non chi credi di essere e che svela i segreti del cuore, senza una ricetta ma con uno sguardo. La risposta al mistero che due occhi soli, nella solitudine del proprio bastare a se stesso, Pilato, che spesso sono io, siamo noi, non è riuscito a “vedere”, mentre è possibile ai quattro occhi degli sposi, con uno sguardo solo riunito dal Suo.
Essere liberi o prigionieri è l’esercizio quotidiano derivante dal presidio della verità che a suo modo, ogni uomo e donna, prima ancora che credente o non credente, esercita sul senso delle cose, anche quando non se ne rende conto.
È un po’ come il compito della sentinella che presidia un forte e quello che esso custodisce perché necessario per ogni battaglia. Se sincero, fa la differenza tra vivere e sopravvivere e in ogni momento, anche il più piccolo e insignificante, tu sei in mezzo a questa lotta. Ogni momento è cruciale, esattamente come lo è stato quello di Pilato di fronte a Gesù, difronte alla Verità.
Ogni momento, ogni istante che fa l’esistenza intera è una possibilità sempre nuova di stare difronte alla Verità; offerta, non te la puoi dare, quella di stare difronte al Volto che dice Tutto, che ti dice chi sei, che ti dice che siamo figli preziosi, che ti dice che siamo il suo sacramento per il mondo. Quella che ti fa sentire che tutto è possibile anche le cose più incredibili.
Perfino vedere la goccia del tuo sangue in quel calice alzato, dove sta quello di chi ti circonda, di chi è stato, dell’umanità intera, radunato dal Suo. O quella che ti fa vedere la Resurrezione che prepara e prende il caffè con te e tua moglie, dopo una lite furibonda. Quella che inumidisce gli occhi che si guardano e nel silenzio si dicono “stava andando tutto all’aria “.
Quella che ti fa gustare l’aroma di quel caffè che mai hai potuto gustare così prima, unico, intenso, completo e che cercherai ogni istante infinito che ti è regalato, per tutta la vita. Ecco, avrei voluto dire tante cose belle, ma quando ci provi sono così grandi che tentare di spiegarle ti si attorciglia la lingua, perché la verità con le parole “più la dici e più la dici mai”. Perché forse il tragitto che fa dal cuore alla bocca è troppo lungo a dura tutta una vita, ed è per questo che la fa valere tutta. O forse è solo il silenzio di quello che tu sei davvero, nel profondo dell’anima, che la può comunicare e farne sentire il profumo.
Fonte: Marco Negri | CostanzaMiriano.com