In queste ore di lutto per la morte di papa Francesco può nascere una duplice occasione, non solo per i fedeli.
Insieme a queste ore di lutto per la morte del Santo Padre Francesco stanno già circolando le più disparate narrazioni e analisi di ogni tipo.
Mentre il giudizio su questo pontificato è consegnato alla storia, così come a giudicare il Papa sarà Dio, le dinamiche politiche esterne e soprattutto interne alla Chiesa sembrano infatti essere quelle preminenti nei dibattiti a cui si sta assistendo, tanto da non lasciare spazio per riflessioni di altro genere. D’altra parte è anche vero che a breve i cardinali elettori parteciperanno al conclave per eleggere il nuovo Papa ed è inevitabile parlarne.
In queste ore di lutto può però nascere una duplice occasione, non solo per i fedeli, che trascende tutte le narrazioni politiche: da un lato, infatti, questo momento storico può far emergere con ancora maggior coscienza cos’è la Chiesa, certamente descrivibile come un’istituzione ma che oggi, alla luce di quanto successo, sembra non poter essere racchiusa in questa definizione.
La morte del Papa, il dolore dei fedeli e la preghiera degli stessi possono essere segni, forse deboli o insufficienti, per richiamare al fatto che la Chiesa è qualcosa di diverso, è il corpo di Cristo che rimane presente nella Storia dell’uomo e allo stesso tempo è mezzo imprescindibile per l’incontro con Cristo Eucaristia, che come ricorda il Concilio è “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” (Lumen gentium), cioè il centro di tutta l’esistenza di ogni persona e della Chiesa stessa, tanto che essa “si forma a partire dall’Eucaristia. Da essa riceve la sua unità e la sua missione” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth).
La morte del Santo Padre può dunque essere l’ultimo grande insegnamento di ogni Pontificato, compreso quello di Francesco, che consiste nel testimoniare la realtà naturale e sovrannaturale che è la Chiesa, che, come si vede in questi giorni, non è nelle mani del Papa, né lo è mai stata: “La barca della Chiesa non è nostra, ma è Sua, e il Signore non la lascia affondare” (Benedetto XVI, 27 febbraio 2013, ultimo Angelus del Pontificato).
L’altra occasione che il triste evento fornisce riguarda la persona stessa del Santo Padre; quale occasione più propizia per tornare all’origine del significato del papato: “Erede della missione di Pietro, il Vescovo di Roma esercita un ministero che ha la sua origine nella multiforme misericordia di Dio […]. L’autorità propria di questo ministero è tutta per il servizio del disegno misericordioso di Dio e va sempre vista in questa prospettiva. Il suo potere si spiega con essa. Ricollegandosi alla triplice professione d’amore di Pietro che corrisponde al triplice tradimento, il suo successore sa di dover essere segno di misericordia. Il suo è un ministero di misericordia nato da un atto di misericordia di Cristo. Tutta questa lezione del Vangelo deve essere costantemente riletta, affinché l’esercizio del ministero petrino nulla perda della sua autenticità e trasparenza” (Giovanni Paolo II, Ut unum Sint).
Non dunque un semplice ruolo o una carica politica o di Governo, ma un ministero che trae la sua stessa esistenza dall’elezione di Pietro (“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, Mt 13,18) e che vive della misericordia di Cristo di cui è segno.
Interessante notare che appena dopo l’istituzione del primato ci sia la promessa di Cristo che “le potenze degli inferi non prevarranno” (Mt 13,18) sulla Chiesa, non per meriti di Pietro, ma per la Presenza che Cristo mai farà mancare. Un legame intrinseco, quello tra il successore di Pietro e la Chiesa, riassunto da sant’Ambrogio con la celebre espressione “Ubi Petrus, ibi Ecclesia; nulla mors, sed vita aeterna“: dove c’è Pietro lì c’è la Chiesa, e dov’è la Chiesa non c’è morte alcuna ma la vita eterna.
Allo stesso tempo questi giorni sono anche occasione per riconoscere nella figura del Papa, chiunque esso sia, il “dolce Cristo in terra” di cui parlava Santa Caterina da Siena, cioè un dono costante per tutta la Chiesa, ossia per ogni fedele, in ogni tempo.
La morte di ogni Pontefice, e oggi dunque di Francesco, Jorge Mario Bergoglio, richiama quindi la grande esperienza della Chiesa, un’esperienza terrena delle cose ultraterrene (le “cose di lassù”, Col 3,1). Dunque sì, piangiamo perché è morto Francesco, ma soprattutto ringraziamo Dio per il dono del Papa e della Chiesa.
Fonte:Andrea Mobiglia | IlSussidiario.net