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Che cosa hanno dimenticato di Papa Francesco?
— 28 Aprile 2025— pubblicato da Redazione. —
Dopo i funerali, verso il Conclave.
eggere i giornali fra la morte di un Pontefice e l’inizio di un nuovo pontificato è sempre sconcertante, perché i giornalisti sono obbligati a riempire le pagine o a riempire le trasmissioni e questo fa sì che si leggano articoli o si ascoltino interventi contenenti le peggiori banalità. Sui social è molto peggio, perché lì non vi sono freni inibitori e chiunque si sente in dovere di esprimere la propria opinione.
Normalmente vengono utilizzate le categorie destra/sinistra o conservatore/progressista, le uniche che forse capiscono coloro che scrivono, i quali poco o niente sanno di cose di Chiesa. Il risultato è un po’ bizzarro, come se un Papa conservatore non dovesse privilegiare i poveri, come insegna il Vangelo, senza cadere nell’odio verso i ricchi tipico della lotta di classe, oppure non dovesse visitare i carcerati senza per questo dimenticare l’importanza della certezza della pena. Oppure, al contrario, ci si stupisce che un Papa considerato progressista condanni l’aborto e ricordi che il matrimonio è soltanto fra uomo e donna, come se il progresso consista nel dimenticare l’esistenza della natura per cui l’uomo è stato creato maschio o femmina.
Permettetemi di segnalare l’eccezione dello splendido articolo di Susanna Tamaro sul Corriere della Sera del 24 aprile, dove la scrittrice arriva a decantare la bellezza dell’ultima enciclica di Papa Francesco sul Sacro Cuore (Dilexit nos) passata completamente nel dimenticatoio anche tra noi cattolici. Uno scandalo autentico.
Oppure, ancora, un pontificato viene giudicato soltanto con gli occhi europei e quindi ritenuto fallimentare perché nei dodici anni di Francesco gli italiani che frequentano la chiesa sarebbero diminuiti, dimenticando colpevolmente che i flussi storici devono essere giudicati cominciando da molto prima del loro inizio: secondo questo criterio il pontificato di san Giovanni Paolo II, ben più lungo e certamente accolto con un enorme entusiasmo, soprattutto giovanile, sarebbe stato fallimentare perché non ha portato all’aumento della frequenza alla messa da parte degli italiani, almeno così ci hanno spiegato i sociologi della religione.
La realtà è che la Chiesa non è l’Italia e nemmeno l’Occidente, ma è presente anche in Africa e Asia, dove cresce continuamente.
La Chiesa è il corpo mistico di Cristo e ha come scopo la salus animarum. E il Papa è il capo di questo corpo scelto dallo Spirito Santo. Persone che si credono credenti, ma in realtà credono soltanto alle loro opinioni, pensano e scrivono della Chiesa come se si trattasse di un partito. Se sono giornalisti obbligati a riempire la pagina, passi, ma se sono cattolici la cosa si complica, perché mettono in dubbio i principi fondamentali della fede per seguire le loro fantasie.
La fede vera è quella semplice della vecchietta, che è certa che colui che prossimamente apparirà di fronte ai fedeli radunati in piazza San Pietro è il Pontefice, il vescovo di Roma successore degli Apostoli, il Vicario di Cristo. Al quale si deve obbedienza. Punto.
Questo non significa smettere di cercare di capire, non vedere le difficoltà, fare finta di non vedere le divisioni che ci sono sempre state, da Giuda in poi.
Il problema pastorale della Chiesa è il mondo nel quale vive e opera, perché la Sposa di Cristo deve cercare di proporre la salvezza agli uomini del proprio tempo, i contemporanei, a partire da come sono e non da come si vorrebbe che fossero. Essa non è un circolo culturale, dove si producono elaborate riflessioni teologiche, per quanto importanti esse siano; la Chiesa predica Cristo, vero Dio e vero uomo, e la salvezza eterna nel suo nome. La dottrina sociale della Chiesa serve a costruire un mondo dove sia più facile salvarsi e santificarsi proprio perché corrispondente al progetto salvifico di Dio sull’umanità.
Ovviamente la Chiesa che vive nel proprio tempo ne subisce gli influssi negativi, proprio perché cerca un dialogo necessario alla salvezza degli uomini cui si rivolge. Non potrebbe fare altrimenti, senza rinunciare a se stessa e alla propria vocazione. Per dialogare deve avvicinarsi e correggere, e questa è la cosa difficile. Se si avvicina troppo al mondo viene subito accusata di “tradire la dottrina”, ma se non si avvicina non instaura nessuna relazione salvifica.
Gesù parlava con tutti, senza preoccuparsi di scandalizzare: prostitute, nemici del popolo d’Israele, adultere, poveri o ricchi e potenti come Lazzaro, pur avendo un’attenzione privilegiata verso coloro che non avevano nulla nella vita. Le Beatitudini ce lo ricordano. Diceva loro la verità, con mitezza e anche fermezza, quando necessario.
Ecco perché mi permetto di ricordare una cosa soltanto del pontificato di Francesco, non perché sia l’unica, ma forse perché la più importante: lo spirito missionario, la “Chiesa in uscita”, come chiamava Papa Francesco l’anelito a portare la salvezza e la verità agli uomini che non conoscono Cristo o lo hanno rifiutato. Il principale documento del pontificato, l’esortazione apostolica iniziale e programmatica, Evangelii gaudium, dedica il primo capitolo alla “trasformazione missionaria della Chiesa”.
In Occidente questo atteggiamento si chiama “nuova evangelizzazione”, gli altri continenti sono nella prima fase dell’implantatio ecclesiae, ma in entrambi i casi si tratta di quell’urgenza apostolica che muoveva san Francesco Saverio (1506-1552), il grande missionario gesuita, e santa Teresina di Lisieux (1873-1897), la patrona delle missioni che non si è mai mossa dal suo convento.
Questo è il lascito di Papa Francesco, o meglio una parte importante del suo pontificato, spesso dimenticata. A molti può essere piaciuto il suo stile, ad altri no, in entrambi i casi dimenticando che gli uomini hanno diverse sensibilità e, se vi è chi viene attratto alla fede dalla semplicità e dall’umanità del tratto, anche di un Papa, altri possono invece apprezzare maggiormente uno stile sacrale o particolarmente austero. Ma quello che conta, quel che la Chiesa deve veramente cercare ogni giorno, con fatica e chiedendo il dono del discernimento, è la capacità di entrare in relazione con gli uomini del proprio tempo per trasmettere loro la fede che salva.
Quindi, in attesa di ascoltare il Magistero del prossimo Papa, rileggiamo Francesco prima di giudicare senza averlo letto, accogliamo il suo invito a trasformare in senso missionario ogni momento della vita della Chiesa perché, soprattutto nell’Occidente secolarizzato, è quello di cui c’è maggiormente bisogno. Vedo già il tono saccente di chi pensa che, invece, altre siano le priorità. Ci sarà chi dirà che bisogna “cambiare la Chiesa e la sua dottrina per renderla più simile al mondo”, chi invece riproporrà un modello storico di Chiesa che andava bene quando la società era cristiana, abbondavano i sacerdoti e il mondo ruotava intorno alla parrocchia, oppure ci saranno quelli che nascondono la propria pigrizia dicendo che oggi è ormai diventato impossibile cambiare il mondo.
«… non diciamo che oggi è più difficile; è diverso», scrive invece Papa Francesco. Ascoltiamo il suo insegnamento, che è la cosa più importante e duratura di un pontificato, in particolare la “chiamata”, tipicamente ignaziana, a cercare anzitutto e soprattutto la gloria di Dio: «Questo è il movente definitivo, il più profondo, il più grande, la ragione e il senso ultimo di tutto il resto. Si tratta della gloria del Padre, che Gesù ha cercato nel corso di tutta la sua esistenza», perché «Al di là del fatto che ci convenga o meno, che ci interessi o no, che ci serva oppure no, al di là dei piccoli limiti dei nostri desideri, della nostra comprensione e delle nostre motivazioni, noi evangelizziamo per la maggior gloria del Padre che ci ama» (Evangelii gaudium, 267).
Il fatto che pochi abbiano ricordato la portata missionaria del pontificato di Francesco dice molto del modo superficiale e banale di affrontare i temi inerenti alla Chiesa di oggi.
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