In due sentenze emesse questo mese, la Corte suprema dell’India ha confermato il diritto legale, per le minoranze religiose presenti nel paese, di gestire istituzioni educative preservando e coltivando la propria cultura, e riconoscendo questi diritti come inviolabili.
Le sentenze rappresentano un enorme sollievo per i gruppi religiosi, in particolare la comunità cristiana che gestisce migliaia di scuole e università in India, pur contendo un invito esplicito alla Chiesa indiana ad aiutare i poveri a ottenere un’educazione di qualità e dar loro la possibilità di affrontare le sfide del futuro.
In India il decreto sul diritto allo studio, risalente al 2009, stabilisce che l’istruzione, gratuita e obbligatoria per tutti i bambini dai sei ai 14 anni è un diritto fondamentale.
Per mantenere questo impegno il governo ha stabilito che ogni scuola dovrebbe riservare il 25% delle iscrizioni ai bambini poveri e le cui famiglie non possono pagare tasse. Nonostante i massicci interventi nell’istruzione pubblica negli ultimi 60 anni, molte scuole gestite dalle amministrazioni federali o provinciali spesso mancano di strutture di base e di insegnanti adeguatamente formati, di lavagne o posti a sedere e di testi scolastici.
Diverso il quadro delle istituzioni scolastiche del settore privato, gestite dalle grandi imprese o da gruppi di professionisti.
La tendenza attuale è quella di istituire “scuole globali” o “accademie internazionali” che vanno ben oltre le possibilità dei più poveri e anche della classe medio-bassa. Questi istituti sono dotati di aria condizionata, aule attrezzate con moderne tecnologie dell’informazione e dotate di attività di nuoto in piscine di dimensioni olimpioniche, corsi di equitazione e talvolta anche di golf e altri sport.: per frequentarle si arriva a pagare fino a un milione di rupie (16.600 dollari) all’anno per ogni studente.
Questa tendenza non è limitata solo all’India ma è da tempo ormai comune a quasi tutti i paesi dell’Asia. Anche per questo, secondo i dati forniti in questi giorni dagli esperti dell’Economist Intelligent Unit, nella classifica dei migliori sistemi scolastici al mondo figurano cinque paesi dell’Asia: Corea del Sud, Giappone, Singapore, Hong Kong e Cina. In corsa anche se ancora distanziati, paesi come la Malesia, che già conta nelle proprie università la presenza di oltre 120.000 studenti stranieri.
In India la maggior parte delle scuole cristiane non hanno campi da golf o scuderie e spesso non sono dotate di aria condizionata, ma molte, ancora, fanno parte della cerchia ristretta. Scuole d’élite e università a Nuova Delhi, Calcutta, Mumbai, Chennai e Bangalore, sono fuori dalla portata della gente comune mentre la maggior parte delle scuole cristiane, nelle 170 diocesi presenti nel paese, sono infatti per i poveri, i tribali e i dalit.
Non c’è da stupirsi che queste scuole d’élite, gestite da interessi commerciali e anche dalla Chiesa, risentano nella loro gestione, di interferenze da parte del governo centrale o di quelli regionali: nomine dei direttori o degli insegnanti stessi, quote per minoranze, sono solo alcuni dei temi da sempre sotto pressione politica. Istituzioni educative cristiane hanno dovuto presentarsi in tribunale più volte per mantenersi libere dalle pressioni e poter amministrare conservando i propri beni e la propria cultura, combattendo fino alla sentenza emessa, anche a loro favore, questo mese dalla Corte Suprema.
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